Oggi a Cancun (Messico) si ripete il rito delle conferenze ONU sui cambiamenti climatici; le chiamano Conferenze delle Parti (COP) e siamo arrivati alla sedicesima che rischia però di replicare, in tono ancor più triste, il nulla di fatto della precedente, svoltasi un anno fa con tante aspettative a Copenhagen.

È ancora vivo il ricordo di quei giorni, quando molti pensavano che l’arrivo taumaturgico del capo della Casa Bianca avrebbe cambiato le carte in tavola e avrebbe fatto dimenticare i pesanti indizi di irregolarità nella gestione e diffusione dei dati da parte dell’IPCC, l’organismo intergovernativo eletto a barometro ufficiale del clima del Pianeta. A Copenhagen il miracolo non c’è stato e l’IPCC ha passato mesi burrascosi tra dimissioni minacciate e poi ritirate e la ripartenza della complessa macchina degli “esperti” chiamati a redigere il prossimo rapporto, il quinto, da pubblicare nel 2014 (ma quando uscirà i suoi dati saranno già vecchi di almeno 5 anni).



A Cancun però si faranno sentire anche altri soggetti e altri organismi internazionali. Come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che illustrerà i risultati di una analisi condotta dallo IAMP (Inter Academy Medical Panel, www.iamp-online.org) contenuti in un documento appena pubblicato sulla prestigiosa rivista medica The Lancet. Lo IAMP è una organizzazione mondiale che riunisce una settantina di Accademie nazionali mediche e scientifiche e offre consulenza scientifica orientata al miglioramento della salute soprattutto tra le popolazioni più povere; l’Italia vi è rappresentata dall’Accademia Nazionale dei Lincei.



Ebbene, il documento dal titolo eloquente The health co-benefits of policies to tackle climate change, invita i decisori a valutare i benefici per la salute delle politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici. In sostanza, si sostiene che alcune azioni che potrebbero essere attuate in vista della riduzione delle emissioni di gas serra potrebbero incidere direttamente sul miglioramento della salute umana. Questi benefici per la salute potrebbero in parte compensare i costi della lotta al cambiamento climatico e contrastare la convinzione, non certo infondata, che le azioni di contrasto al climate change saranno necessariamente gravose da un punto di vista sociale ed economico.



I responsabili dello IASP osservano come gli effetti sul clima delle strategie volte a ridurre le emissioni di gas serra non siano immediati e siano spesso dispersi nel mondo; viceversa, le stesse azioni possono manifestare effetti più diretti, veloci ed evidenti sulla salute umana. Come ha fatto notare il co-chair dello IAMP, il malese Looi Lai Meng, nella opinione diffusa i mutamenti del clima sono soprattutto una minaccia per l’ambiente e c’è  meno consapevolezza degli impatti sulla salute. Inoltre, gli abitanti dei Paesi più poveri, che sono meno responsabili delle emissioni di gas serra, sono i più vulnerabili e subiscono le maggiori minacce alla loro salute.

Il documento quindi identifica alcuni esempi, tratti dalle pubblicazioni scientifiche, di come le azioni per ridurre le emissioni possano anche portare a miglioramenti sanitari. Un esempio riguarda le attività domestiche ed è studiato nel contesto dell’India. È stato valutato che un programma decennale che preveda la sostituzione degli attuali forni da cucina con 150 milioni di forni a bassa emissione potrebbe prevenire circa due milioni di morti premature causate dall’esposizione a inquinanti domestici responsabili, in particolare, di ostruzioni croniche delle vie respiratorie nelle donne e di infezioni acute nei bambini. Il programma darebbe comunque un contributo alla più generale  riduzione dell’effetto-serra.

Un altro esempio di sinergia tra lotta al cambiamento climatico e miglioramento della salute riguarda la mobilità urbana. Studi relativi a città come Londra e New Delhi hanno mostrato che l’abbinamento del cosiddetto trasporto attivo (in pratica spostarsi in bicicletta o a piedi) e l’impiego di veicoli con motori a bassa emissione può portare al duplice risultato di ridurre i gas serra e di alleggerire il fardello delle malattie croniche. Le proiezioni relative a New Delhi parlano di una riduzione del 11-25% delle malattie cardiovascolari e degli infarti e del 6-17% in meno di diabetici.

Sarebbe curioso se non fosse preoccupante un altro fatto segnalato dallo IAMP: una delle principali fonti di emissioni dannose per la salute è proprio … il sistema sanitario. Il National Health Service inglese, ad esempio, avrebbe immesso in atmosfera nel 2007 oltre 21 milioni di tonnellate di CO2 equivalente: a contribuire a tale quota sarebbero gli approvvigionamenti per il 59%, l’energia per gli edifici (24%) e i viaggi (17%). Lo stesso NHS sta varando misure per la riduzione delle sue emissioni del 10% entro il 2015, incoraggiando i trasporti attivi tra il personale, promovendo l’efficienza energetica e le fonti a basso contenuto di carbonio e organizzando l’approvvigionamento con sistemi low carbon.

Peccato che i Paesi che più potrebbero giovarsi dell’accoppiata ambiente-salute, come l’India e la Cina, saranno anche a Cancun, come già a Copenhagen, tra i principali oppositori della firma di accordi vincolanti come quelli che continuerà a proporre la vecchia ma sognatrice Europa.

 

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