La storia biologica del nostro pianeta, procedendo per tentativi, spesso è andata oltre la nostra più fervida immaginazione. L’esistenza di esseri grandi, maestosi e mostruosi allo stesso tempo come i dinosauri ne è uno degli esempi più incredibili. Ancora più inaspettata è la suggestione che i dominatori preistorici esercitano su moltissimi bambini: per nulla impauriti dalle riproduzioni-giocattolo di questi autentici mostri vissuti milioni di anni fa, un numero insospettabilmente elevato dei più piccoli vive un’autentica passione per gli estinti dominatori del pianeta terra, quasi sovvertendo le normali categorie estetiche degli adulti.



C’è qualcosa nei dinosauri che li rende belli agli occhi dei bambini, quasi fossero eroi di favole ancora tutte da scrivere. Insomma, gli abitanti di un mondo bambino, per quanto mostruosi, toccano la fantasia dei bambini molto più di quella degli adulti. E anche questo è un bel mistero.

I dinosauri erano veramente creature incredibili, soprattutto per le dimensioni: dai piccoli velociraptor, alti poco più di un metro, si arriva agli enormi ed enigmatici diplodochi, giganti lunghi più di 30 metri e pesanti decine di tonnellate. Pare impossibile che bestie di questa stazza potessero anche solo muoversi e camminare. Ma la realtà era un’altra, e non sorprenderà sapere che i cieli del nostro pianeta sono stati solcati milioni di anni fa da dinosauri volanti, alcuni dalle dimensioni eccezionali: gli pterosauri.



Al Congresso annuale della Society for Vertebrate Paleontology a Pittsburgh, Michael Habib,
della Chatham University a Pittsburgh, in Pennsylvania, ha presentato i risultati di una sua recente ricerca sugli pterodattili. I suoi studi si sono focalizzati sui più grandi esseri volanti mai esistiti, una particolare specie di pterosauro (fra le quattro conosciute), alta come una giraffa e con una apertura alare di circa 10 metri. Praticamente un aereo in carne e ossa.

Esseri così grandi avevano un’autonomia di volo incredibile: le stime più prudenti fissano un limite inferiore pari a circa 8.000 chilometri, quelle più esagerate si spingono a 32.000. “Nella media, in cui tornano tutti i conti, ci assestiamo sui 16.000 chilometri”, commenta Habib.



E i consumi? Lo sforzo era tale da consumare circa 72 chilogrammi di riserve di grasso per ogni volo. “Probabilmente battevano le ali solo pochi minuti per volta… dopodiché i loro muscoli dovevano recuperare”, afferma. “Mentre recuperavano, si limitavano a planare”, ma anche così, nota Habib, “in pratica consumavano l’equivalente di un uomo ben messo”

 

La loro anatomia suggerisce che gli pterosauri volassero diversamente dagli uccelli migratori dell’era attuale. Cercando di sfruttare un parallelo “moderno”, i ricercatori avevano utilizzato in precedenza il volatile vivente più grande, l’albatro, per riprodurre il volo dello pterosauro. Tuttavia “non ritenevamo che lo pterosauro avesse la stessa frequenza di battito alare dell’albatro, né pensavamo che il rettile si levasse in aria come un uccello”, spiega Habib.

Secondo alcuni studiosi, un animale massiccio come il Quetzalcoatlus northropi, pesante circa 200 chilogrammi, non era in grado di alzarsi in volo allo stesso modo degli uccelli, ma doveva gettarsi dalla cima degli alberi o dalle colline per volare. Ma Habib e la sua squadra di ricercatori ritengono che, come alcuni pipistrelli, i grandi pterosauri avrebbero probabilmente utilizzato i quattro arti per librarsi nell’aria prima di iniziare a sbattere le ali. “Ho la certezza pressoché totale che gli pterosauri non ‘decollavano’ come gli uccelli”, dice Habib.

Ci sono ovviamente ancora molti studi da svolgere, utilizzando reperti diversi: per esempio non si hanno le idee chiare sulle caratteristiche delle membrane che costituivano le ali o sulla struttura complessiva degli pterosauri, ma se i calcoli di Habib sono corretti, i risultati potrebbero favorire l’ipotesi che i grandi pterosauri fossero in grado di attraversare agevolmente interi continenti in volo e di spostarsi abitualmente da un continente all’altro. I grandi volatori dell’era dei dinosauri sarebbero stati una sorta di “superspecie” che aveva come casa non una regione specifica, ma tutto il mondo. L’idea è interessante è fantasiosa, come spesso lo studio della preistoria obbliga a fare.

Il lavoro da svolgere è ancora molto, ovviamente, e nuove ipotesi si affacceranno sicuramente a riguardo di questi e altri giganti del passato, sperando di trovare qualche reperto in più che confermi o smentisca idee e congetture.

Senza questo paziente lavoro di ricerca la passione di molti bambini non sarebbe possibile. E i paleontologi, per nulla intimoriti dalle difficoltà di ricostruire abitudini e motivazioni di creature di cui restano spesso solo parti molto ridotte (un dente, una clavicola, un’impronta), rischiano un po’ il destino dei loro amati estinti: per lo più chiusi in musei o dispersi in qualche deserto sabbioso a cercare reperti, determinati a perseguire le loro ricerche che non hanno alcun tornaconto immediato, vengono guardati come “reperti” di una strana umanità, che fa della pazienza e del lavoro lungo, minuzioso, faticoso, ma nello stesso tempo stimolante per la fantasia e l’immaginazione la sua cifra più caratteristica.

Una vita spesa per studiare incredibili esseri ormai estinti, per aspetto più simili ad abitanti di mondi immaginari e fantastici, quasi tentativi andati a male nella lunga storia del mondo: tutto questo è l’opera del paleontologo. Stramba, noiosa o incomprensibile per chi non vede quello che vede lui.
Ma ci sono cose che solo i bambini riescono ad apprezzare fino in fondo…