Il trend sembra ormai inarrestabile: il sistema energetico sta evolvendo verso forme e strutture molto diverse da quelle alle quali eravamo abituati. Sono due i cardini di questo cambio di paradigma. Il primo è il passaggio da sistemi centralizzati basati sulla produzione di energia in grandi impianti, le centrali appunto, a sistemi distribuiti, fatti di una molteplicità di installazioni di taglia medio-piccola e dislocati sempre più vicino alle utenze.



Il secondo cardine è la forte crescita del contributo delle energie rinnovabili: solare, nelle sua varie versioni, eolico, biomasse, geotermia, nucleare sono voci che prenderanno sempre più spazio nel mix energetico del futuro; che vedrà sempre meno la presenza dominante di una sola tipologia di fonti (come sono tuttora i combustibili fossili e come peraltro non potranno essere in futuro le sole fonti rinnovabili).



Ad esempio, secondo le previsioni la IEA (International Energy Agency), dal suo osservatorio privilegiato di Parigi, nel 2050 il solare fotovoltaico fornirà l’11% del fabbisogno di energia elettrica. Stando allo “scenario Blue” della Iea, per ottenere l’auspicato dimezzamento delle emissioni di CO2, a quella data la produzione energetica dovrà essere costituito per il 48% da fonti rinnovabili, per il 24% da nucleare e per il 17% da impianti realizzati con sistemi di cattura e stoccaggio della anidride carbonica.

Tutto ciò ha dei presupposti (e delle conseguenze) di natura sia sociale che tecnologica, che sono stati oggetto di dibattito nei giorni scorsi durante la Fiera Ecomondo di Rimini, in particolare al Forum Ambiente e Energia organizzato dallo Studio Ambrosetti. In proposito abbiamo sentito Carlo M. Drago, business development executive di IBM e uno dei relatori al Forum, che ha delineato il panorama di un mondo sempre più digitalizzato, con una enorme capacità di raccolta e elaborazione dei dati: basti pensare a cosa accade oggi nelle nostre automobili. «Se poi questo mondo viene interconnesso, abbiamo una miriade di oggetti che possono comunicare tra loro: è la cosiddetta internet delle cose, che apre la strada a un terzo livello di “intelligenza” distribuita, cioè quello in cui i dati diventano informazioni e quindi sono utili per prendere decisioni».



 

Questo pianeta che diventa sempre più “intelligente” cosa significa per il contesto dell’energia? «Ci porta direttamente al concetto di smart grid, di rete intelligente. Che in pratica vuol dire sovrapporre la rete informatica alla rete fisica attraverso l’installazione di sensori, cioè apparecchiature capaci di raccogliere i dati  fisici, i parametri ambientali, di misurare capillarmente (attraverso i contatori digitali) i dati che quantificano i flussi energetici. Da ciò deriva la possibilità di modellizzare la realtà del sistema energetico per poi prendere le decisioni più vantaggiose per l’uomo e per l’ambiente».

Il fatto interessante è che la sovrapposizione di questa rete informativa alla sottostante rete energetica avviene contemporaneamente ai cambiamenti di paradigma indicati prima e che vanno nella direzione di un sistema distribuito. Ecco allora emergere l’altro livello del mutamento in atto, quello sociale che poco o tanto sta già coinvolgendo tutti noi in quanto utilizzatori. «Venticinque anni fa dell’utilizzatore finale nessuno sapeva nulla; per il fornitore di energia era solo un’utenza anonima e non attirava particolari attenzioni. Ora invece ci avviamo a diventare quello che alcuni sociologi hanno già battezzato col termine prosumer, cioè insieme produttori e consumatori».

Cambiano quindi i ruoli e il tipo di interazione: tutti possono immettere e prelevare energia dalla rete e si innesca una fitta e articolata serie di scambi che trasforma la catena del valore. Cambiano i messaggi che l’industria lancia ai clienti: da “utilizza di più” a “cerca di risparmiare e utilizzare in modo efficiente”.

Anche il modello delle interazioni si trasforma: prima gli scambi erano a senso unico, dall’industria all’utente, e il ritorno era solo il dato utile per predisporre la bolletta; adesso c’è un sistema più elaborato, non lineare, basato sulla reciprocità, con più scambi e tanti soggetti (terze parti, soggetti finanziari, cooperative, industrie, singoli …). Per rendere l’idea, Drago suggerisce l’efficace analogia di un Centro Commerciale: «in un’unica realtà agiscono tanti attori, con tanti flussi e un intreccio di scambi e transazioni».

Che quella delle smart grid non si solo  un’esercitazione teorica risulta evidente da una serie di esperienze che Drago segnala. Come l’Olympic Peninsula Project, sostenuto dal Dipartimento dell’Eneergia Usa (DOE) e col Pacific Northwest National Laboratory a capo di un pool di aziende e centri di ricerca: è un sistema di controllo automatico dei costi, attuato tramite la simulazione del sistema elettrico in tempo reale sulla base dei dati prelevati dalle apparecchiature dell’utente finale e disponibili in rete; il consumatore può accedere a una bolletta simulata che mostra la differenza tra diversi stili di utenza elettrica. «I primi test hanno mostrato una possibile riduzione significativa dei consumi».

Altro esempio è il progetto Edison (Electric vehicles in a Distributed and Integrated market using Sustainable energy and Open Networks) realizzato in Danimarca da un insieme di soggetti (IBM, DONG Energy, azienda energetica di Oestkraft, Technical University di Danimarca, Siemens, Eurisco e l’Associazione Danese per l’Energia): in questo caso la smart grid consente la gestione ottimizzata del sistema di ricarica dei veicoli elettrici, in vista del loro futuro prevedibile aumento.

(a cura di Mario Gargantini)