I nuovi sviluppi in campo energetico verso sistemi di produzione più efficienti e rispettosi della natura destano sempre grandi interessi, da parte di specialisti e non. La ragione è ovvia: la possibilità di ottenere in un futuro più o meno lontano una diffusa capacità di produzione energetica a costi inferiori rispetto all’attuale e più pulita, che non condanni perciò le generazioni future a vivere in un mondo sempre meno accogliente, è interesse di chiunque.



L’attenzione maggiore viene ovviamente riservata alla ricerca di nuove fonti energetiche, ma scienziati e ingegneri si misurano anche con l’immediato problema di rendere più mite l’impatto ambientali delle attuali fonti energetiche più diffuse, ovvero i combustibili fossili. I problemi scientifici e tecnologici in questa sfida sono moltissimi ed estremamente diversificati, a seconda della particolare fonte di energia.



Fra i combustibili fossili il più diffuso come utilizzo è senz’altro il petrolio, seguito dal carbone e dai gas naturali. Lo sfruttamento più semplice e immediato è quello del carbone, mentre per gli altri due si è sviluppata una serie di complesse tecniche di raffinazione e trasporto. Le estesissime reti di oleodotti e gasdotti sono il tramite per cui alcune delle nazioni più progredite riescono a rifornirsi di energia. L’Italia è uno di questi paesi: acquista il gas in gran parte dalla Russia e dall’Algeria e ne viene rifornita tramite i gasdotti. Il gas nelle condutture viene compresso e quando arriva a destinazione deve essere ri-gassificato in appositi stabilimenti (a questo proposito ricorderemo tutti le polemiche italiane sulla costruzione di nuovi rigassificatori).



I giacimenti di gas naturale – principalmente composti da metano – sono molto estesi. Non si sa con certezza quanto estesi, e alcuni pensano che ci sia molto più gas che petrolio. Quello che è certo è che lo sfruttamento intensivo potrebbe modificare parecchio il mercato energetico odierno. Il gas naturale infatti offre dei vantaggi rispetto ad altri combustibili fossili: brucia in maniera più pulita, producendo meno biossido di carbonio e riducendo significativamente l’impatto sul riscaldamento globale. Utilizzato al posto della benzina e del diesel nei veicoli potrebbe ridimensionare la dipendenza di un paese dal greggio di altri paesi.
 

Uno dei problemi più grossi è però il suo trasporto: i gasdotti, infatti, non possono attraversare gli oceani, e il passaggio attraverso stati politicamente instabili potrebbe comportare dei rischi per gli utilizzatori finali, mentre l’uso intensivo delle bombole per il trasporto in vista di una produzione energetica è antieconomico, oltre a essere più rischioso di quello via gasdotto. Ecco perché il gas, che appare un combustibile fossile molto più “pulito” degli altri, in realtà non ha una diffusione allo stesso grado per esempio del petrolio su scala planetaria.

Il vero salto qualitativo nella distribuzione del gas si potrebbe ottenere nel momento in cui lo si potesse rendere in qualche modo solido, affrancandosi così dall’utilizzo dei gasdotti. La soluzione “stupida” di questa sfida potrebbe banalmente essere quella di raffreddarlo fino a renderlo solido. Peccato che il metano solidifichi a oltre -180 °C.
Per fortuna l’ingegno umano pare non avere confini: incredibile ma vero, all’Università di Liverpool stanno lavorando alla realizzazione di una tecnologia che garantirebbe trasporti economici e sicuri per il gas naturale. Rendendolo solido!

Gli scienziati hanno infatti sviluppato un particolare materiale composto da silice e acqua che può assorbire grandi quantità di molecole di metano. Il materiale in questione sembra una sottile polvere bianca. Quasi inutile sottolineare come uno sviluppo industriale di un tale materiale potrebbe garantire trasporti facili e un uso anche come carburante. 

Il professor Andy Cooper, Direttore del Centre for Materials Discovery al Dipartimento di Chimica dell’Università di Liverpool spiega che «è stato suggerito in passato di usare il metano idrato come possibilità per un trasporto economico e sicuro, ma lo svantaggio è che la formazione di idrato di metano ha un rate molto lento rispetto a quello che serve a un’industria».

Per controbilanciale questa difficoltà, Cooper e i suoi hanno pensato allora di sviluppare un metodo per “polverizzare” l’acqua – necessaria al processo – in piccole gocce, «in modo da aumentare l’area della superficie in contatto con il gas». Cosa c’entra la silice, in tutto ciò? «Siamo riusciti, mescolando l’acqua con una speciale forma di silice, a fermare il processo di coalescenza delle goccioline d’acqua (il meccanismo per cui due gocce si uniscono in una più grande). Questa ‘acqua asciutta’ assorbe grandi quantità di metano abbastanza rapidamente intorno al normale punto di formazione del ghiaccio».

La scoperta è significativa anche dal punto di vista economico: i materiali impiegati sono a basso costo e non necessitano di grandi raffinazioni.
Il passaggio logico successivo sarebbe quello di trovare nuove vie per catturare quantità ancora più grandi di gas metano a temperature più alte e a pressioni più basse.
Neanche a dirlo, a Liverpool ci stanno già pensando.