A pochi giorni dalla conclusione della conferenza sul clima di Cancun, al di là dell’euforia immediata di alcuni movimenti ambientalisti, è opportuno esaminare con calma gli elementi precisi dei cosiddetti “Accordi di Cancun” (“Cancun Agreements”) per capire come si potranno muovere i principali attori della scena climatica mondiale in questo anno che ci separa dalla prossima Conferenza delle Parti (sarà la COP17).



Quella che si è svolta nella città messicana è stata infatti la 16a sessione della Conferenza delle Parti (Conference of the Parties, COP) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) e insieme la sesta sessione della Conferenza delle Parti del Protocollo di Kyoto (CMP-KP). Dopo due settimane di negoziati, gli Agreements sono stati raggiunti al fotofinish e consistono in un pacchetto bilanciato – così si esprime la diplomazia climatologica – di decisioni che riflettono i risultati dei “gruppi di lavoro ad hoc” che negoziano un futuro accordo globale nell’ambito della Convenzione e ulteriori impegni nell’ambito del Protocollo.



Esaminando gli elementi più significativi del pacchetto, secondo quanto riportato e sintetizzato dal Focal Point Nazionale IPCC – funzione che per l’Italia è svolta dal Sergio Castellari presso il Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC) – balzano subito all’occhio alcune parole ricorrenti e qualche proposta che potrebbe dar vita ad azione concrete.

Le parole sono riconoscimento e rafforzamento, che si collocano più sul piano delle intenzioni che su quello delle azioni vere e proprie Si parla infatti del «riconoscimento ufficiale nel processo multilaterale degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra dei Paesi industrializzati (promessi a Copenaghen), accompagnato dal rafforzamento del reporting da parte di questi Paesi e la richiesta di valutare ed elaborare relativi piani e strategie di sviluppo a basse emissioni di carbonio, anche attraverso meccanismi di mercato». Come pure si invoca il rafforzamento dei “Meccanismi di sviluppo pulito” (Clean Development Mechanisms, CDM) nell’ambito del Protocollo di Kyoto.



Anche quello che è considerato uno dei risultati più concreti è nel segno del rafforzamento: riguarda il REDD (Riduzione di Emissioni per Deforestazione e Degrado), cioè quel meccanismo lanciato a Copenhagen per favorire le azioni di mitigazione delle emissioni derivanti da deforestazione e degrado forestale e le azioni di conservazione delle foreste nei Paesi in via di sviluppo, con l’adeguato supporto tecnologico e finanziario.

 

È ancora nella linea del riconoscimento ufficiale quello che considera le azioni di mitigazione dei Paesi in via di sviluppo, con la positiva aggiunta però dell’istituzione di «un registro per documentare e confrontare tali azioni con il supporto finanziario, tecnologico e di capacity-building fornito dai Paesi industrializzati e la pubblicazione di un rapporto biennale delle azioni sottoposto ad analisi e consultazione internazionale».

 

Un riconoscimento e un nuovo impegno riguardano il punto critico dei finanziamenti da parte dei Paesi industrializzati per sostenere le azioni di mitigazione e adattamento nei Paesi più in difficoltà: il primo riguarda i 30 miliardi di dollari per il finanziamento rapido (“fast start finance”) entro il 2012, previsti a Copenaghen ma non ancora stanziati; il secondo annuncia l’intenzione di mobilizzare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020.

 

Sul versante delle iniziative un po’ più configurate – ma pur sempre in attesa di specifica attuazione – va segnalato il lancio del “Green Climate Fund” e l’avvio di un processo per definirlo nell’ambito della Convenzione; come pure l’istituzione di un quadro d’azione per l’adattamento (Cancun Adaptation Framework), di un Comitato per l’adattamento (Adaptation Committe), e di un programma di lavoro sulla questione delle perdite e dei danni dovuti ai cambiamenti climatici (loss and damage).

Speranze può destare anche l’istituzione di un meccanismo per il trasferimento tecnologico, con il relativo Comitato Esecutivo (Technology Executive Committee) e una rete per il coordinamento (Climate Technology Centre and Network). Il grande interrogativo che resta aperto è se queste proposte avranno un seguito concreto a breve termine e se questi spiragli emersi a Cancun potranno diventare delle porte per introdurre accordi allargati e vincolanti per i prossimi decenni.

 

C’è già da registrare il fatto che i principali “gruppi di lavoro ad hoc” hanno visto il rinnovo del loro mandato per un anno. Nel 2011 quindi un gruppo perfezionerà il pacchetto e discuterà la forma legale di un futuro accordo globale; un altro proseguirà il lavoro negoziale per raggiungere prima possibile un accordo sul dopo-Kyoto, cercando di evitare un gap (questa è un’altra grande incognita che dominerà il prossimo anno) tra il primo e il secondo periodo di impegni del Protocollo.

 

L’appuntamento per i prossimi “mondiali del clima” è in Sudafrica per la diciassettesima sessione della COP/CMP che si terrà a Durban dal 28 novembre al 9 dicembre 2011.

 

(Michele Orioli)

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