Gli organismi geneticamente modificati, i cosiddetti OGM, rappresentano probabilmente l’innovazione dove il divario tra il consenso scientifico e lo scetticismo del grande pubblico è più profondo. Contrariamente a quanto avviene in altri ambiti, questa distanza è legata non tanto a visioni del mondo diverse, ma piuttosto all’esistenza di una mitologia attorno a queste piante che ne alimenta la cattiva fama. A riprova di ciò va osservato che più ricerca si svolge su di essi e più l’ostilità aumenta.



Poco importa dunque che ad oggi si disponga di 9.500 pubblicazioni scientifiche, ottenute in oltre quindici anni di coltivazione e venticinque di sperimentazione. Poco importa che queste ci dicano che gli OGM comportano pochi rischi, gli stessi delle piante “normali”, e offrano numerosi benefici, per gli agricoltori, per l’ambiente, ma anche talvolta direttamente per i consumatori. L’idea della loro intrinseca pericolosità è così radicata nell’immaginario collettivo che non saranno certo i fatti a scalfirla.



Nell’accettazione di questo mito gioca senza dubbio un ruolo non trascurabile la scarsa cultura scientifica del nostro paese, terreno fertile su cui si inseriscono spesso spericolate campagne pubblicitarie e di marketing politico. Non stupisce che sia molto diffusa la credenza che solo negli OGM avvengano delle modifiche genetiche, mentre nelle piante “naturali”, frutto di incroci e selezione, il DNA resterebbe immutato. Eppure è noto che l’incrocio o la mutagenesi modificano l’assetto e la sequenza del DNA degli organismi in centinaia o migliaia di punti diversi, peraltro in modo non controllabile.



L’ostilità agli OGM non può però essere spiegata solo come mancanza culturale. Vi è un altro fattore che è legato ai temi dell’equità sociale. Molti detrattori, alcuni anche nel mondo scientifico, li osteggiano additandoli come mezzo di conquista dei mercati del cibo ad opera delle multinazionali, il tutto a danno delle popolazioni indigenti.

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Di sicuro il monopolio delle innovazioni è un tema caldo e da valutare attentamente, andrebbe però rilevato che la tecnologia alla base degli OGM è stata sviluppata dalle università e solo una regolamentazione insostenibile per tempi e costi (una decina di anni e milioni di euro per l’approvazione di un solo evento OGM) ha di fatto consegnato il settore nelle mani dei grandi gruppi multinazionali.

 

 

Andrebbe poi ricordato che, su 14 milioni di contadini che usano gli OGM, ben 13 sono contadini poveri che, di anno in anno, aumentano i loro raccolti e scelgono di riseminare OGM sulla loro terra. Il caso del cotone in India, che ha visto raddoppiare le rese in pochi anni, è emblematico.

 

 

Per mettere un punto fermo su questi temi, un gruppo di lavoro della Pontificia Accademia delle Scienze (PAS) si era riunito per una “Settimana di studio” nel Maggio 2009. In questa riunione, oltre quaranta esperti, in gran parte scienziati ma anche economisti, teologi, sociologi si sono confrontati per quattro giorni sul tema “Le piante transgeniche per la sicurezza alimentare nel contesto dello sviluppo”. Oggi esce un documento di sintesi di quanto emerso in quella sede.

 

 

Il messaggio è chiaro: il maggior ostacolo che impedisce ai poveri di godere dei benefici di questa tecnologia non è la mancanza di conoscenze scientifiche o di fondi, non sono i brevetti, non sono le incertezze sui rischi, ma è la mitologia che noi ci siamo creati su queste piante. Una mitologia che ha creato una regolamentazione che di fatto esclude la ricerca pubblica e che impedisce l’accesso ai risultati della ricerca proprio a coloro che potrebbero trarne il maggior beneficio. La storia del Golden Rice insegna: pubblicato nel 1999, otterrà il via libera probabilmente nel 2012. Solo perché GM.