Cosa c’entrano gli indios con Galileo? In realtà il nesso è quello molto personale della vicenda di un fisico francese, Ètienne Klein, che a partire dall’incontro fortuito con cinque capi della popolazione amazzonica dei Kayapo e colpito dalle loro argomentazioni, per nulla rudimentali, a favore della loro terra, ha sviluppato una profonda riflessione sulla tecnoscienza, condensata poi nel volume intitolato appunto “Galileo e gli indiani – Per non liquidare la scienza a causa di un cattivo uso del mondo” (Jaca Book, 2010).



I contenuti di questo saggio hanno tuttavia una valenza molto più che personale e incrociano alcuni dei nodi principali in cui si imbatte chiunque oggi affronti il tema della scienza e delle sue implicazioni culturali e sociali.

Lo sfondo del dibattito è quello che Klein individua nella “trappola di una logica binaria” che vede contrapposti, spesso nella stessa persona, i due fronti: da un lato un ottimismo ingenuo che vede tutto bene quello che viene dalla scienza e che ritiene che la vocazione della scienza sia “quella di aggiustare ogni cosa”; dall’altro la visione che dà un fondamento razionale agli antichi terrori millenaristici e pensa l’umanità incanalata sulla “via senza ritorno delle catastrofi”.



La logica binaria si ritrova anche su un piano più speculativo: è l’eterno dilemma tra la concezione di una scienza in grado di accedere a dei frammenti di verità sulla natura e quella che ignora volutamente gli interrogativi più profondi e si lancia in una corsa forsennata sui problemi, convinta di poterli risolvere tutti e di non dover rispettare alcuna linea di demarcazione tra i diversi ambiti.
 

Si può quindi e si deve ancora parlare di scientismo. Ma, come fa Klein, si deve anche stare in guardia dal pericolo che una reazione dura e giustificata allo scientismo possa produrre, in modo ingiustificato, l’avvento di una altro nemico: il relativismo. Ecco quindi le minacce per la scienza oggi, ma anche le cause della sua debolezza e della disaffezione di molti giovani. A queste se ne deve aggiungere una terza e cioè la tecnoscienza che, in qualche misura, è la sintesi delle altre due: uno spazio dove il confine tra la conoscenza della natura e la sua manipolazione è evanescente ma al tempo stesso la manipolazione si appoggia, indebitamente, su una sorta di “immunità” che è propria della conoscenza pura.



Acuta è l’osservazione di tipo storico che fa risalire alla rivoluzione galileiana le radici di questi dilemmi: “I problemi posti dal potere della (tecno)scienza erano già in germe in quel gesto che ha fondato la scienza moderna”. Attenzione però: si parla di “germe” e ci si può legittimamente chiedere se era proprio necessario che la situazione evolvesse nel senso della tecnoscienza che vediamo oggi minacciosamente in azione. È proprio colpa di Galileo, come riporta Klein citando Husserl?  O forse non è la scienza in sé che ci ha condotto a questo punto; è non è tutto da addossare allo scienziato pisano che peraltro, come l’autore giustamente si suggerisce, ha avuto l’aiuto (si poteva anche aggiungere “determinante”) di uno come Cartesio: “lo scientismo è un’ideologia che la scienza può ispirare, ma non ne è affatto un’implicazione”.

Difficile quindi descrivere il passaggio dalla visione precedente a quella moderna come un meccanismo di causa-effetto prodotto dall’entrare in scena del metodo scientifico sperimentale; si è trattato più di un “preparare il terreno” per una concezione sempre più assolutistica ed esclusivistica della scienza come massima forma di conoscenza. Ed è stato “in modo impercettibile” che dal riduzionismo metodologico si è passati a quello ontologico, vale a dire alla riduzione nella sfera delle scienza di ogni tipo di domanda sulla realtà.

Nel confronto con gli indiani (ma lo stesso avrebbe potuto dire rileggendo la pur sempre Occidentale cultura medievale) Klein evidenzia la rottura di una visione unitaria e l’avvento del paradigma della separazione: “è come se il mondo si fosse scisso: da un lato la natura, concepita esclusivamente nella prospettiva fisico-matematica, e dall’altro l’uomo, isolato, lasciato alla solitudine della sua ragione e delle sue emozioni”. Ecco allora il disorientamento seguito all’impresa di Galileo e acutizzato dalla tecnoscienza. “La scienza moderna con la sua distaccata silenziosa oggettività sembra impedire una reciprocità affettiva (con la realtà). Non ci dice niente che possa davvero toccare la nostra sensibilità”.

Ma non sarà demonizzando la scienza che ritroveremo l’unità perduta e potremo riaprire le domande di senso. Anche perché è possibile anche oggi praticare una scienza che tenga vive tutte queste dimensioni: l’esperienza diretta di molti scienziati (a volte raccontata anche da ilSussidiario.net) conferma questa possibilità.