Un colloide è un particolare sistema in cui particelle molto piccole di una sostanza si disperdono in un mezzo continuo formato da un’altra sostanza, ad esempio un liquido. La dimensione delle particelle è compresa tra 10-9 e 10-6 m, cioè tra il nano-metro e il micro-metro: le particelle sono aggregati di un numero, in genere, non molto grande di molecole. Per dimensioni inferiori si ha una soluzione omogenea, per dimensioni superiori una sospensione. Le particelle colloidali, avendo dimensioni prossime alla lunghezza d’onda della luce, la diffondono dando un aspetto opalescente al colloide.



Una sospensione colloidale non è un sistema stabile: tende a separarsi in due fasi dopo un tempo più o meno breve, spesso in modo improvviso. In realtà, i colloidi non sono una cosa strana: con molti abbiamo un’esperienza più o meno quotidiana. Nella tabella sono riportati alcuni esempi di colloidi (la fase dispersa è quella delle particelle, la fase continua è quella del mezzo in cui avviene la dispersione).



È a tutti noto che la maionese a volte “impazzisce” facendo disperare anche chi è esperto di cucina. Essa è un esempio delle difficoltà che si hanno a dominare sia teoricamente che sperimentalmente i colloidi: piccole variazioni delle condizioni di preparazione o conservazione portano a risultati indesiderati.

Tornando alla maionese, un buon cuoco può avere una buona ricetta ma quella impazzisce apparentemente senza motivo. Invece, il motivo c’è: le particelle sono mantenute in sospensione dalle forze elettrostatiche tra particella e particella e tra particella e fase continua. La delicata combinazione di queste forze fa sì che le particelle non si aggreghino tra loro ma rimangano disperse. Tuttavia il sistema è fortemente sensibile alle condizioni in cui si forma, soprattutto alla concentrazione e alla temperatura, inoltre non essendo termodinamicamente in equilibrio tende a evolvere nel tempo.



 

Un colloide dato dalla sospensione di un solido in un liquido (sol) può subire un’aggregazione delle particelle solide trasformandosi, in parte, in una sospensione di un liquido in un solido (gel). Anche se questa nuova fase può avere l’apparenza di un materiale solido, in realtà la sostanza solida occupa una parte molto limitata del volume apparente: si ha così quello che viene chiamato un “materiale soffice”.

 

Francesco Sciortino, al Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma La Sapienza, studia da tempo il meccanismo teorico delle trasformazione nei colloidi ed è giunto a prevedere la possibilità di gel estremamente stabili che, contrariamente a quanto avviene di solito, non cambiano nel tempo le loro caratteristiche permettendo un controllo del loro stato finale. Il centro SOFT, formato da ricercatori dell’Istituto per i processi chimico-fisici (Ipfc-Cnr), dell’Istituto dei sistemi complessi (Isc-Cnr) del CNR e dallo stesso prof. Sciortino, studia anche dal punto di vista sperimentale la formazione e le proprietà dei colloidi. Sull’ultimo numero di Nature Materials èuscito un articolo di questi ricercatori, con Barbara Ruzicka come primo autore e con la collaborazione dell’European synchrotron radiation facility (Esrf), per le indagini strutturali diffrattometriche.

 

In questo lavoro si presenta, per la prima volta, la formazione, in laboratorio, di un gel in uno stato di equilibrio e quindi stabile nel tempo. Essendo la fase dispersa un liquido ed occupando questa una parte molto piccola del volume totale, si può parlare di liquido a bassissima densità o anche “liquido vuoto”. Il materiale usato è un’argilla sintetica, Laponite®, molto utilizzata nella formulazione di detergenti, vernici e cosmetici. Questa argilla, che sciolta in acqua forma una soluzione colloidale, è costituita da discoidi, di dimensione nanometrica, caratterizzati da una distribuzione di carica elettrica negativa sulle facce e positiva sui bordi favorendo una disposizione a T di un dischetto rispetto a un altro.

Proprio questa asimmetria delle forze tra le particelle permette il formarsi di questo gel fortemente stabile come previsto dalla teoria.L’importanza fondamentale del lavoro è di confermare sperimentalmente la teoria, permettendo di poter controllare la formazione di strutture di questo tipo e programmarne quindi la sintesi. Le applicazioni sono la produzione di materiali a struttura altamente organizzata a livello nanometrico con particolari funzioni il cui utilizzo più prevedibile immediatamente è in campo biomedico, ma non solo.

 

Resta un’ultima considerazione in merito al dibattito sulle nanotecnologie: come si è visto con materiali a struttura nanometrica conviviamo da lungo tempo, in alcuni casi da sempre, ma ora siamo giunti al punto di poter controllare e utilizzare in maniera mirata questi fenomeni. Questo è già avvenuto per moltissimi campi tecnico-scientifici e certamente avverrà ancora: le nuove applicazioni non sono mai l’intrusione di un qualcosa di totalmente estraneo, ma l’utilizzo di cose con cui già si conviveva senza saperlo.

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