Mentre al summit di Cancun le diplomazie climatiche stanno faticosamente tentando di ricucire lo strappo di Copenhagen del 2009 e di formulare una versione riveduta e corretta del protocollo di Kyoto per prolungarne la vita attiva oltre la scadenza del 2012 l’Italia è chiamata a riflettere sui dati diffusi qualche giorno fa dall’Enea nella 11a edizione del Rapporto “Energia e Ambiente”.



Le analisi contenute nel rapporto presentano luci e ombre e anche gli scenari previsti dagli studiosi dell’Enea, spinti su un arco temporale che arriva fino al 2050, indicano un’evoluzione che dipenderà da alcune decisioni strategiche che forse possono ancora essere prese.

Prima di soffermarci sui “chiaroscuri” del nostro sistema energetico, vale la pena considerare alcuni elementi dello sfondo internazionale economico e tecnologico. Un dato, tra quelli evidenziati dal rapporto, spicca per la sua entità: a dispetto della crisi economica internazionale e nonostante l’abbassamento dei prezzi petroliferi, da parte dei Paesi del G20 gli investimenti 2009 in nuove tecnologie per energie rinnovabili sono aumentati del 230% rispetto al 2005. Non è difficile intuire che il numero così inusuale nelle statistiche dipende dal basso livello di partenza ; tuttavia è interpretabile come segnale di crescita della cosiddetta green economy, che registra altri punti a suo favore come la crescita dell’efficienza energetica nei paesi dell’area Ocse, l’aumento degli investimenti pubblici in tecnologie a basso tenore di carbonio, l’inizio della commercializzazione di veicoli ibridi ed elettrici e la ripresa degli investimenti nel settore nucleare.



Veniamo quindi all’Italia. Nel 2009 la domanda di energia primaria è calata del 5,8% rispetto all’anno precedente, con una contrazione significativa delle fonti fossili e una contemporanea crescita delle rinnovabili – potrebbe essere letto come un primo “chiaro” – e delle importazioni di energia elettrica. Sul corrispondente fronte dei consumi finali, c’è stata una diminuzione del 5,2%, con settori maggiormente colpiti dal calo della produzione industriale (trasporti -1,8%; settore civile +3,5%; industria -20%).

Ed ecco il primo “scuro”: esaminando la composizione per fonte della domanda di energia, si scopre che quella italiana, rispetto alla media UE, è caratterizzata da un maggior ricorso al petrolio, al gas e all’importazione costante di energia elettrica. Nel 2009, il livello di dipendenza energetica dall’estero è rimasto sostanzialmente invariato, attestandosi intorno all’85%, rispetto a circa il 70% della media dei 27 Paesi UE.



 

Tornando al “chiaro”, il rapporto segnala che nel 2009 il consumo interno di energia da fonti rinnovabili è aumentato del 16% e rappresenta ormai un quinto dei consumi complessivi di elettricità; la produzione di energia elettrica da rinnovabili è crescita del 17%, pari a poco meno di un quarto del totale della produzione nazionale. Settori quali il fotovoltaico, l’eolico, i rifiuti e le biomasse hanno registrato l’incremento più significativo, raggiungendo una quota pari al 32% del totale dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, che comprendono anche settori “tradizionali” quali l’idroelettrico e il geotermico.

 

Il problema è evidentemente il futuro. Qui sono interessanti le analisi dell’Enea che considera due tipologie di scenario: uno detto di “riferimento”, che delinea l’evoluzione del sistema con la normativa attuale; l’altro di “intervento”, che indica i trend del sistema con l’introduzione di misure più stringenti in materia di energia e ambiente.

 

Nel primo caso si prevede che i consumi finali di energia riprendano a crescere con il superamento della crisi economica. Nel secondo, i consumi energetici potrebbero ridursi ulteriormente per effetto dell’accelerazione tecnologica in alcuni settori e, sul lungo termine (al 2050), potrebbero essere di oltre il 20% inferiori a quelli dello scenario di “riferimento”.

 

Inoltre, si avrebbe una corrispondente riduzione delle emissioni di CO2 (già diminuite di circa il 15% rispetto al 2005), derivata essenzialmente dal calo della domanda di energia, come conseguenza dell’incremento di efficienza, di un uso più razionale dell’energia e di una crescita della produzione termica da fonti rinnovabili; ma anche di una maggior diffusione di tecnologie low-carbon nella generazione elettrica: cioè rinnovabili, nucleare e fonti fossili con tecnologie “pulite” come quelle CCS (Carbon Capture and Storage, cattura e sequestro del carbonio). Bisogna però concludere purtroppo con un altro “scuro”.

 

Se è vero che negli ultimi anni, gli investimenti italiani nei nuovi settori delle tecnologie low-carbon hanno mostrato un apprezzabile tasso di crescita (persino superiore a quello Usa, nota il Rapporto) è altresì vero che tali investimenti risultano ancora scarsamente concentrati sull’innovazione tecnologica. Nel nostro Paese le politiche d’incentivazione alle rinnovabili non hanno inciso nello sviluppo di una soddisfacente filiera industriale nazionale, diversamente da quanto si è verificato, ad esempio, in Germania. Nel settore delle rinnovabili, i dati più recenti indicano che l’Italia ha una propensione a importare componenti superiore alla media dei Paesi UE (a 15), principalmente nel settore fotovoltaico.

 

Se di strategia si deve allora parlare, non si può che iniziare dal capitolo: “innovazione tecnologica”.

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