Via libera dal Consiglio dei Ministri per la costruzione di nuove centrali nucleari in Italia. Questa mattina è stato infatti approvato il decreto legislativo per enucleare i criteri di scelta relativi ai siti dove costruire le centrali. Oltre a ciò il Consiglio ha approvato i criteri per la realizzazione di combustibile nucleare, i sistemi di stoccaggio delle scorie e gli incentivi economici per i territori che ospiteranno le nuove strutture. La notizia non può che suscitare interesse, essendo quello relativo alla costruzione di impianti nucleari nel nostro Paese, un dibattito infinito che affonda le proprie radici nel referendum del 1987 a ridosso del disastro di Chernobyl. Eppure sembra che l’opinione pubblica sia meno compatta e risoluta nel pronunciarsi contraria rispetto alla realizzazione di centrali nucleari. Certo, il bisogno di energia è una problematica assai più presente oggi rispetto a vent’anni fa e le centrali di nuova generazione, questo affermano gli esperti, sembrano scongiurare qualsiasi tipo di incidente. Ne abbiamo parlato con il professor Marco Ricotti, docente di impianti nucleari al Politecnico di Milano



Dottor Ricotti, l’approvazione del Consiglio dei Ministri alla scelta dei luoghi in cui costruire centrali nucleari è arrivata questa mattina. Quali criteri si utilizzano solitamente per la scelta di siti adeguati?

I criteri per costruire centrali nucleari sono innanzitutto consigliati da un ente internazionale che risponde al nome di IAEA, l’agenzia internazionale per l’energia atomica (International Atomic Energy Agency). Si tratta comunque di un ente che non può dettare norme o leggi, ma suggerire delle linee e regole di buona condotta. Chiunque sia interessato a tali norme le può benissimo consultare sul portale di IAEA, sono di pubblico dominio. Ogni Stato in realtà deve poi individuare le proprie norme. Questo perché le condizioni geofisiche, economiche o sociali variano da nazione a nazione. È ovvio che nei criteri di massima le regole suggerite da IAEA si riscontrano perfettamente in un confronto con i paesi di riferimento del nucleare: Stati Uniti, Giappone e Francia.



In questo senso quanto sono pertinenti i criteri approvati dal Consiglio dei Ministri rispetto alle linee guida IAEA?

Non conosciamo ancora esattamente che cosa sia stato deliberato oggi dal Consiglio dei Ministri, perché la versione ultima non è ancora di dominio pubblico. Ma ho esaminato la bozza presentata dal Governo e devo riconoscere che nell’articolo in cui vengono definite le aree idonee i criteri utilizzati sono perfettamente coerenti con gli aspetti suggeriti da IAEA.

Può farci qualche esempio delle caratteristiche esaminate per la valutazione di un sito?

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Le principali considerazioni riguardano l’idrologia e le risorse idriche del territorio, gli aspetti sismici, geologici, la densità di popolazione, i fattori socioeconomici, la distanza da infrastrutture critiche quali, ad esempio, aeroporti piuttosto che grandi snodi ferroviari o autostradali. Ovviamente la lontananza da strutture come ospedali o alberghi. Ultimi, ma non meno importanti, sono i criteri relativi al valore paesaggistico, architettonico e storico di un determinato sito. Questi certamente non sono tutti i criteri, ma sono i principali.

 

Lei parlava di differenze nei criteri di selezione di siti nucleari fra una nazione e l’altra. Che cosa intende?

 

Semplicemente che ogni nazione ha alcune proprie caratteristiche geofisiche specifiche. Ma è più chiaro con un esempio. Prendiamo due paesi come Francia e Giappone. Nel primo, vista la quasi totale assenza di fenomeni sismici di una certa rilevanza, non sono state previste esclusioni di alcun tipo nei criteri di costruzione sotto il versante sismico. Lo stesso dicasi per il Giappone, sebbene quest’ultimo sia un paese a grandissima attività sismica. Come si spiega questa coincidenza di opposti? Col fatto che il Giappone ha così tanti terremoti che risulta inutile porre un criterio di sismicità o meno in un sito. Ovviamente la modalità di costruzione sarà incentrata su un’attenzione particolare alla struttura antisismica della centrale.

 

Un criterio che pare funzionare, non è così?

 

Altroché. A questo proposito mi permetto di fare una notazione. Nel luglio del 2007, nei pressi della più grande centrale nucleare del mondo, quella di Kashiwazaki-Kariwa, in Giappone, (dove ci sono 7 reattori sullo stesso sito per una centrale da quasi 8.000 megawatt) si ebbe una terribile scossa sismica il cui livello superò di gran lunga i criteri di progetto. Ma questi ultimi erano stati elaborati in modo talmente severo da dimostrarsi ben superiori rispetto al livello di protezione stimato. Risultato fu che le uniche vittime furono causate dal crollo, purtroppo, delle abitazioni nelle zone residenziali circostanti.

 

Poniamoci però in una previsione pessimistica: nel caso in cui un terremoto dovesse provocare danni, quali passaggi di rottura dovrebbero avvenire prima di una fuga di radiazioni?

 

Per avere danni come quelli registrati a Chernobyl il sisma dovrebbe essere capace non solo di distruggere la centrale, il contenitore principale, il contenitore interno, ma anche di danneggiare tutti i sistemi di sicurezza, che sono ridondanti, sono multipli. Oltre a ciò dovrebbe danneggiare il recipiente principale a pressione e infine anche il combustibile. Tutto ciò ha una probabilità di accadimento inferiore a quella che un meteorite si schianti sulla terra e porti alla nostra estinzione. Direi dunque che la probabilità è molto molto remota. Consideriamo i i rischi che ci accolliamo quotidianamente: chi usa l’auto per lavoro ha una frequenza di incidente mortale, o comunque grave, che è 10.000 volte superiore alla probabilità di morire per un incidente nucleare.

 

Lei ha citato Chernobyl, un incidente di quella tipologia può riaccadere?

 

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Assolutamente no. Tutti i reattori occidentali, sia nuovi sia vecchi, hanno oggi un contenitore di sicurezza, se non addirittura un doppio contenitore, imparagonabile a quello di Chernobyl. Ma ancora prima di Chernobyl i criteri di costruzione occidentali erano assai più sicuri di quelli sovietici. Basti pensare all’incidente di Three Mile Island, del 1979. In quell’occasione avvenne un disguido analogo a quello di Chernobyl, ma a differenza del sito ucraino il contenitore di sicurezza non fece fuoriuscire la minima radiazione.

 

Veniamo a un altro spinoso problema, quello delle scorie radioattive. Come avviene la gestione di queste ultime?

 

Le scorie sono fondamentalmente di due tipi: quelle ad alta radiattività o a bassa radioattività ma che decadono in migliaia di anni. Questo primo gruppo rappresenta le scorie davvero pericolose. L’altro gruppo è rappresentato da scorie di bassa radioattività, che decadono in circa un secolo o due. Diciamo che il 90 per cento dei rifiuti è fortunatamente di questo secondo tipo. Solo il 10 per cento rappresenta un rifiuto davvero pericoloso.

 

Con quali criteri vengono smaltiti?

 

Oggi ci sono due scuole di pensiero. Alcuni Paesi hanno deciso di dotarsi di depositi geologici profondi definitivi. Questo comporta lo scavare dei cunicoli a 500 metri nella roccia dove per migliaia di anni non è giunta acqua e stoccarli lì sotto per sempre. Altri Paesi invece preferiscono non dotarsi ancora di questa soluzione definitiva e realizzare depositi superficiali aspettando lo sviluppo tecnologico dei reattori di quarta generazione, che produrranno assai meno scorie.

 

E fin qui abbiamo affrontato i pericoli legati a fattori ambientali. Quali protezioni offre invece una centrale nucleare da eventuali attacchi terroristici?

 

Ci basti sapere che il controllo del territorio nei pressi di un sito nucleare si trova in altre attività critiche umane. È il maggiore che esista. Trovo perciò assai remota la possibilità che un terrorista prenda di mira le centrali nucleari di un Paese quando ha a disposizione, sfortunatamente, molti altri luoghi critici assai più facilmente raggiungibili. Nel caso comunque che il nostro terrorista si ostinasse ad attaccare una centrale dovrebbe condurre un’operazione lunghissima e che richiederebbe conoscenze e competenze davvero elaborate. Il tutto dopo aver abilmente eluso la vigilanza. Insomma è più probabile che ciò avvenga in un telefilm piuttosto che nella realtà.

 

E se ci si “limitasse” a dirottare un aereo e a dirigerlo contro un impianto?

 

I contenitori dei reattori di nuova generazione sono previsti per resistere anche alla caduta di aerei di linea. Dirò di più: per i vecchi reattori il contenitore esterno venne progettato per resistere alla caduta di aerei militari.

 

Un’ultima domanda: quali sarebbero le prime misure d’emergenza se, nonostante tutte le precauzioni descritte, fuoriuscisse materiale radioattivo da una centrale nucleare?

 

Per ogni reattore nucleare come per tutte le numerosissime aziende industriali ad alto rischio sono previsti dei piani di emergenza che vanno dal rimanere in casa con le finestre chiuse per un certo intervallo di tempo all’assunzione di pastiglie allo iodio per evitare che le radiazioni possano compromettere la tiroide. Inoltre vengono continuamente studiati ed elaborati dei piani d’emergenza specifici ad hoc per minimizzare e ridurre, se non addirittura escludere, le dosi di radiazione improprie alla popolazione.