È appena partito, l’altro ieri mattina, lo Shuttle per portare sulla Stazione Spaziale Internazionale i due moduli realizzati a Torino (il Nodo 3 e la Cupola), ed ecco che oggi un altro lancio porterà nello spazio un nuovo satellite per esplorazioni scientifiche. Si tratta del Solar Dynamics Observatory (SDO), la prima missione del programma che la Nasa ha chiamato “Living with a Star”, ovvero “Vivere con una Stella”. Il programma si propone di capire le cause della variabilità solare e in particolare la catena di causa-effetto tra la presenza del campo magnetico alla superficie del Sole e l’esistenza di fenomeni, sia continui che impulsivi, che hanno un effetto diretto sulla Terra.



Ce ne parla Gianna Cauzzi, astronomo dell’Inaf-Osservatorio Astrofisico di Arcetri (Firenze), particolarmente coinvolta nelle ricerche di fisica solare.

Quali sono i principali obiettivi scientifici della missione SDO?

SDO cercherà di capire come si genera il campo magnetico solare, come si organizza alla superficie del Sole e come l’energia ad esso associata possa essere immagazzinata per un certo tempo ed essere poi rilasciata sotto forma di vento solare, particelle energetiche e irradianza (cioè la quantità totale di luce emessa)  nella eliosfera. Ricordo che  la eliosfera è quella specie di “bolla”, creata dal vento solare stesso, che contiene tutto il Sistema Solare mentre si muove nello spazio interstellare. A lungo termine, questo tipo di studi dovrebbe portare alla capacità di predire fenomeni solari che hanno una rilevanza immediata sulla nostra vita: ad esempio il flusso UV e le sue variazioni, o tempeste magnetiche che influenzano il nostro sistema di comunicazioni.



Che cosa ancora non conosciamo, o conosciamo poco, della fisica del Sole?

Il funzionamento globale del Sole come stella è ben conosciuto: abbiamo chiaro come il Sole (o qualsiasi altra stella) riesca ad autosostenersi tramite l’energia emessa dalle reazioni termonucleari al suo interno, che controbilanciano la gravità che tenderebbe a far collassare la massa di gas su sé stessa. Altri aspetti sono invece ancora poco chiari.

Ovvero?

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La cosiddetta dinamo, ossia il meccanismo attraverso il quale il Sole riesce a creare un intenso campo magnetico, che si manifesta poi alla superficie sotto forma di macchie e regioni "attive", con una periodicità di circa 11 anni. Questo meccanismo dipende da moti di plasma a grande scala che lentamente trasportano campo magnetico dalle regioni equatoriali a quelle polari; è molto difficile da descrivere: non a caso, nessun modello è stato in grado di prevedere il lunghissimo minimo di attività che si è appena concluso.



 

Lei però ha parlato di “aspetti”: ci sono altri misteri?

 

Un altro aspetto non chiarito, è perché il Sole abbia un’atmosfera "esterna" più calda di quella interna. Al di sopra della superficie solare (detta fotosfera), che emette il grosso della luce che noi riceviamo e che si trova a circa 5.600 °C, si trovano altre parti dell’atmosfera quali la cromosfera (a circa 10.000 °C) e la corona, che può arrivare a diversi milioni di gradi. Sappiamo che la loro esistenza è legata al campo magnetico, ma come questo agisca per trasportare lì l’energia dagli strati sottostanti rimane un mistero. Cromosfere e corone sono presenti anche in molte altre stelle, quindi capire come vengono generate ha ovviamente un risvolto astrofisico importante.

 

Quali altri fenomeni hanno incidenza sulla situazione terrestre?

 

Cromosfera e corona sono la sorgente di fenomeni che influenzano direttamente la Terra: la cromosfera emette praticamente tutta la radiazione UV del Sole, la quale rappresenta un agente importante per la struttura della nostra atmosfera. Ad esempio, il flusso UV regola il ciclo dell’ozono e viene spesso ipotizzato che questo possa avere un’influenza diretta sul nostro clima, anche se al momento ciò non è dimostrato. La corona è sede di fenomeni esplosivi quali brillamenti ed espulsioni di massa coronali, che possono lanciare verso la Terra sia radiazione che particelle altamente energetiche: queste potrebbero raggiungere astronauti in orbita, con effetti altamente nocivi per la loro salute. Ma anche senza considerare umani nello spazio, queste tempeste possono interrompere comunicazioni con satelliti, o alterarne l’orbita, con conseguenze anche gravi per la nostra società (basta pensare a quanto dipendiamo dai cellulari).

 

Come lavorerà il Solar Dynamics Observatory?

 

Ci sono a bordo una serie di telescopi e strumenti per osservare l’intero disco del Sole in varie lunghezze d’onda, dal visibile all’estremo UV (fino ai raggi X molli, in realtà), il che permetterà di monitorare tutta la sua atmosfera. Gli strumenti principali sono tre.

EVE (Extreme Ultraviolet Variability Experiment) misura l’irradianza totale, a lunghezze d’onda da circa 1 a 1.000 Angstom, con un’alta risoluzione spettrale e una cadenza prevista intorno ai 20 secondi. Il flusso UV e EUV (Estremo Ultravioletto) è di fondamentale importanza per l’atmosfera terrestre. La precisa discriminazione spettrale di questi strumenti è una novità importante, perché diverse lunghezze d’onda hanno effetti molto diversi sulla nostra atmosfera.

 

Quali sono gli altri due strumenti?

 

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HMI (Helioseismic and Magnetic Imager) è una versione avanzata del riuscitissimo esperimento MDI operante sulla sonda SOHO, e tramite osservazioni nel visibile fornirà mappe ad alta risoluzione, a disco intero, del campo magnetico e dei moti alla fotosfera solare. La misura delle oscillazioni alla superficie solare inoltre permette di "vedere" all’interno della stella, in quanto le ampiezze e frequenze di queste oscillazioni dipendono dalla sua struttura e composizione interna.

AIA (Atmospheric Imaging Assembly) consiste in quattro telescopi che lavorano nell’UV e EUV (oltre ad un canale nel visibile) e acquisiscono immagini del Sole intero in dieci diverse lunghezze d’onda. Queste sono state scelte in modo da poter monitorare sia la cromosfera che la corona a diverse temperature, fino ai 10 milioni di gradi che si verificano talvolta nei brillamenti più energetici.

 

Con che ritmo verranno acquisiti i dati?

 

Questa è una importante novità di SDO: un’altissima cadenza di acquisizione ininterrotta per tutta la durata della missione, ovvero per cinque anni, con possibilità di estensione ad altri cinque. Questa modalità di operazione fornirà un catalogo eccezionale per studiare l’attività solare: tutte le macchie, tutte le regioni magnetiche, tutti i brillamenti, ecc. verranno registrati, ovunque accadano e in qualunque momento accadano, per un periodo confrontabile con quello del ciclo solare. Una manna per gli studiosi del Sole!

Ovviamente tutto ciò comporta una telemetria eccezionale: SDO trasmetterà a Terra qualcosa come 1.4 TeraBytes (TB) al giorno, cioè 1400 GB, l’equivalente di scaricare mezzo milione di canzoni al giorno. Per questo motivo SDO si troverà in un’orbita geo-stazionaria, ovvero in rotazione sincrona con una posizione precisa sulla Terra, con un link diretto e continuo con la stazione ricevente, a White Sands nel Nuovo Messico. Come diceva un collega che lavora alla Nasa, "sarà come avere una televisione HD sempre accesa, ma sintonizzata sulla nostra stella".

 

Quando si avranno i primi risultati?

 

Dopo qualche mese di verifica delle prestazioni strumentali, arriveranno i dati che, seguendo la politica della Nasa per le missioni eliosferiche, saranno "aperti", cioè disponibili in tempo reale alla comunità scientifica. Peraltro, la mole di dati sarà enorme, e non è ancora chiarissimo come possano essere distribuiti tutti; probabilmente ci sarà una gradualità di distribuzione.

Devo dire che tra gli astrofisici c’é molto entusiasmo e molta attesa per SDO. Teniamo le dita incrociate.