Nella fortunata saga di “Ritorno al futuro” di Robert Zemeckis, uno dei protagonisti, lo scienziato “Doc” Emmet Brown, inserendo bucce di banana direttamente nel serbatoio della macchina era in grado di farla muovere come se funzionasse a benzina. Una visione sicuramente futuristica, ma che nella sostanza non è molto lontana da alcune pratiche ormai quotidiane.



Da alcuni anni, nel mercato dei combustibili, hanno fatto la loro comparsa i cosiddetti “biocarburanti”, ovvero carburanti che vengono prodotti a partire dai vegetali. Attualmente uno dei più importanti è il bioetanolo. Ad esempio in Brasile il 20 per cento dei consumi di carburante per i trasporti interni è sostenuto proprio da questa risorsa alternativa. Purtroppo il processo di produzione di questa sostanza non è esente da problematiche di varia natura. Il professor Felice Cervone e i suoi collaboratori dell’Università “La Sapienza” di Roma, hanno recentemente pubblicato sulla rivista PNAS uno studio che promette di risolvere alcuni dei problemi legati all’ottenimento di bioetanolo.



Questa preziosa molecola è ottenibile attraverso la fermentazione degli zuccheri, operata dai microrganismi fermentatori, a partire da materie prime come la barbabietola, il mais o la canna da zucchero. Il processo si divide fondamentalmente in due tappe. La prima prevede l’estrazione dello zucchero dal vegetale, la seconda è il vero e proprio processo di fermentazione dal quale si ottiene il bioetanolo. Questo processo però implica che le risorse, normalmente utilizzate come fonte di cibo, debbano essere invece destinate alla produzione di carburante. Per ovviare a questo problema non di poco conto sono in fase di progettazione i biocarburanti di seconda generazione. «L’idea – spiega Cervone – è quella di poter produrre bioetanolo da qualsiasi fonte vegetale, quindi non necessariamente da risorse normalmente destinate all’utilizzo alimentare». Attualmente, più del 30 per cento del costo di produzione di questo tipo di bioetanolo di seconda generazione, è dovuto ai trattamenti che le cellule vegetali devono subire per poter estrarre gli zuccheri da fermentare (processo chiamato “saccarificazione”). Questo rappresenta un grosso problema per la produzione su scala industriale. Gli studi attuali sono volti dunque a progettare metodi di estrazione alternativi e a basso costo a partire da qualsiasi tipo di specie vegetale.



 

Le cellule vegetali sono composte per il 70-80 per cento dalla parete cellulare. Questa struttura è in grado di fornire la quantità di zuccheri necessaria alla produzione di bioetanolo. Dal punto di vista strutturale la parete è composta da fibrille di cellulosa intrappolate in lunghe catene di polisaccaridi chiamate emicellulose che sono tenute insieme, a loro volta, da un altro polisaccaride, la pectina. La pectina funziona da “collante” per mantenere fortemente compatta la parete. Proprio la compattezza della struttura rende difficile e dispendioso dal punto di vista economico l’ottenimento e l’estrazione degli zuccheri semplici da utilizzare per la fermentazione alcolica. «Nel nostro laboratorio – spiega Cervone – studiando le interazioni tra i microrganismi patogeni e le piante, abbiamo compreso come poter modificare la struttura della parete cellulare vegetale in modo tale da rendere più semplice l’estrazione degli zuccheri». L’idea del professor Cervone è stata quella di andare a modificare la pectina come normalmente fanno i microrganismi che attaccano i tessuti vegetali, con il risultato di rendere le cellule più trattabili per la bioconversione industriale. «Utilizzando due differenti approcci di tipo genetico siamo riusciti ad ottenere piante maggiormente predisposte al processo di saccarificazione». 

Il primo approccio è stato di tipo genetico. Inserendo nelle cellule vegetali un gene espresso normalmente nei funghi, il team di ricerca del professor Cervone ha inibito attraverso di esso il processo che consente il legame pectina-emicellulosa.

 

 

Il secondo metodo, addirittura migliore del primo, ha previsto la somministrazione alla pianta di una sostanza in grado di inibire la reazione chimica che porta al legame precedentemente citato. Risultati che tradotti sul piano industriale limiterebbero non poco i costi di lavorazione.

La produzione di biocarburanti, fonte alternativa all’uso del petrolio, promette di portare grossi cambiamenti sotto tutti gli aspetti. La diminuzione delle quantità di oro nero e i problemi legati all’inquinamento stanno accelerando gli studi nel campo dei carburanti alternativi. «La produzione di bioetanolo a partire da qualsiasi vegetale (anche da scarti alimentari) – dichiara Cervone – risolverebbe notevoli problemi. Piante che non necessitano di particolari cure potrebbero essere coltivate in molte zone ora non produttive. Non solo, la produzione attraverso tecnologie relativamente semplici e l’utilizzo in loco del carburante eliminerebbe i costi di trasporto e porterebbe un notevole sviluppo anche in aree fino ad ora poco sviluppate».

 

(a cura di Daniele Banfi)