Insegna Chimica Industriale dalla metà degli anni Sessanta, dapprima al Politecnico di Milano, poi all’Università della Calabria e dal 1976 presso la Facoltà di Chimica Industriale dell’Università di Bologna, dove è stato anche Preside: Ferruccio Trifirò ha più volte affrontato con i suoi allievi i problemi della sicurezza della produzione chimica in tutte le fasi del ciclo di lavorazione, dalla logistica, alla trasformazione allo stoccaggio. Ed è ben convinto che ci siano tutte le condizioni, tecniche e normative, per operare in modo sicuro e tutelare lavoratori e ambiente. Per questo è ancor più sconcertato quando si imbatte in situazioni come quella verificatasi l’altro ieri nel fiume Lambro, inondato da un “fiume nero” di dieci milioni di litri di gasolio e olio combustibile fatti uscire dolosamente da una raffineria.
Come si comporta un quantitativo così grande di gasolio e olio combustibile una volta immesso in un fiume?
Trattandosi di liquidi non miscibili come acqua e olii, in parte potranno verificarsi processi di emulsione, cioè di dispersione delle sostanze oleose sotto forma di goccioline; ma in gran parte il materiale inquinante andrà a finire sul fondo del fiume e lì si ritroverà soprattutto la frazione più pesante degli idrocarburi usciti dalla raffineria.
Quali sono i principali danni che il “fiume nero” potrà provocare?
Ci saranno senz’altro danni ingenti alla vita acquatica, sia a quella che vive sotto la superficie sia alle varie specie di volatili che galleggiano sull’acqua. Inoltre, rimanendo su tutte le erbe che sono vicine alla riva, il petrolio danneggerà tutta la vegetazione limitrofa. Il grosso problema poi è che possa andare a inquinare le falde acquifere e che una grande quantitativo possa andare a finire nel Po, come sembra sia già in parte avvenendo.
Ci sono metodi chimici o meccanici per tentare di rimuoverlo e qual è il loro grado di efficacia?
Alcuni pensano di provocare tipici fenomeni di emulsione, immettendo cioè sostanze tensioattive che permettono all’acqua di mescolarsi con le parti oleose. Ma è un processo che ha qualche speranza di successo in mare, con grandi quantitativi di acqua; viceversa, in una situazione come quella di un fiume e di un fiume come il Lambro, mi sembra molto difficoltoso e di dubbia efficacia. A mio parere l’unica soluzione, o almeno quella da applicare in prima battuta, è il ricorso a metodi meccanici per risucchiare via il materiale inquinante, con dei sistemi di pompaggio: quindi toglierlo il più possibile dall’ambiente fluviale e poi filtrarlo. Dopo una prima fase di questo tipo si può anche pensare di ricorrere a metodi diversi, come quelli che applicano delle speciali spugne in grado di assorbire componenti oleose; ma lo vedo più come un passaggio successivo, utile per portare via i materiali residui. Si tratta peraltro di un metodo molto più lento e la sua applicazione adesso non farebbe che prolungare la fase di emergenza.
Comunque si decida di agire, sarà un’impresa: si tratta infatti di operazioni molto costose e che in ogni caso richiedono tempi molto lunghi.
Si può dire che nel prossimo futuro la vita di questo fiume sarà compromessa?
Purtroppo è senz’altro così. Circa i tempi non posso fare previsioni precise, perché dipende da come verranno svolte tutte le operazioni. Posso però immaginare che sarà un lavoro di alcuni anni, anche solo per la bonifica in senso stretto; poi ci sarà il problema del ripristino di flora e fauna.
La direttiva Seveso avrebbe dovuto prevenire le conseguenze negative, anche in caso di evento doloso (prevedendo controlli, piani di emergenza ecc): qualcosa non ha funzionato o la stessa direttiva è da rivedere?
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Il Lambro era senz’altro uno dei siti sottostante alla direttiva Seveso e quindi avrebbe dovuto essere tutto sotto controllo. Ricordo che la direttiva conosciuta come “Seveso II” è indirizzata controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose: la direttiva ha introdotto nel campo di applicazione le sostanze ritenute pericolose per l’ambiente, in particolare le sostanze tossiche per l’acqua, e comprende numerosi requisiti riguardanti i sistemi di gestione della sicurezza, i piani di emergenza, l’assetto del territorio, il rafforzamento delle disposizioni relative alle ispezioni o all’informazione del pubblico. Devo pensare che evidentemente qualcosa non abbia funzionato a dovere. Lo stesso fatto che ci fosse un solo addetto attivo in quei momenti e in una situazione con un potenziale di pericolo così elevato, desta più di una perplessità.
Tra i numerosi casi di disastri del genere (grandi quantità di petrolio in mare), ce n’è qualcuno da additare come esempio in negativo o in positivo?
I grandi disastri di questo tipo, cioè di sversamenti in acqua di grandi quantitativi di petrolio o altre sostanze inquinanti oleose, sono avvenuti nei mari o negli Oceani e lì, come dicevo, la grande massa di acqua disponibile ha in qualche modo facilitato le operazioni di bonifica e il continuo movimento della circolazione acquatica ha accelerato anche le fasi di ripristino degli ecosistemi viventi. Nei laghi e fiumi invece le cose si complicano. Un esempio in negativo è il mar Caspio, che è un grande lago diventato praticamente un mare morto date le continue immissioni di petrolio dai grandi giacimenti di una delle aree più ricche di idrocarburi.