Da qualche settimana è iniziata la sperimentazione della Nuclear Ignition Facility (NIF), installazione scientifica di punta nel campo degli studi sulla fusione inerziale situata a Livermore, California. NIF è una di quelle imprese scientifiche che suscitano immediatamente stupore e ammirazione. Un laser di eccezionale potenza, grande quanto uno stadio di calcio, che produce impulsi della durata di una manciata di miliardesimi di secondo, converge i suoi 192 fasci su un bersaglio (target). Esso è costituito da una sferetta di idrogeno ghiacciato (pellet) del diametro di meno di 2 millimetri, contenuto in una capsula cilindrica d’oro (hohlraum, che significa cavità) lunga un centimetro o poco meno.



Quando il target viene investito dagli impulsi laser si vaporizza in un lampo di raggi X che a loro volta illuminano uniformemente la sferetta. Lo strato superficiale, esplodendo, ne comprime il nucleo fino a densità pari a circa mille volte quelle di un solido ordinario. Per una frazione di secondo in un piccolo volume di un laboratorio della California si realizzano condizioni di pressione e temperatura più estreme di quelle del nucleo del Sole, tali che possono arrivare ad innescare il processo di fusione termonucleare simile a quello che alimenta le stelle.



Se avete provato a stringere in una mano una pallina di pasta di pane avrete notato che è quasi impossibile comprimerla: essa si deforma e sfugge tra le dita. Gli scienziati del NIF devono superare un problema analogo: realizzare una pressione perfettamente simmetrica evitando che la deformazione del pellet ne vanifichi la compressione.

E pare che la prima serie di esperimenti sia promettente da questo punto di vista, grazie a una attenta distribuzione della potenza e della lunghezza d’onda dei 192 fasci convergenti.

 

Paradigma esemplare dello sforzo tecnologico umano – per cui non è lo strumento ad essere bene o male in sé, ma il modo e lo scopo per cui viene usato – questo apparato, che non sfigurerebbe in un film della serie Star Wars, ha ovviamente uno scopo, anzi due. I motori degli avanzamenti scientifici e tecnologici del NIF sono l’impulso di soddisfare il bisogno di energia necessario alla civiltà del terzo millennio, ma anche il mantenimento di una supremazia messa a rischio dalla messa al bando degli esperimenti nucleari sancita negli anni ’90. Occorre ricordare che gli avanzamenti scientifici e tecnologici moderni semplicemente non possono fare a meno di un apparato computazionale che permetta di anticipare l’esito eventuale di esperimenti che dipendono da migliaia di parametri. Apparato che occorre mettere alla prova perché le sue previsioni possano essere ritenute affidabili. Le microesplosioni termonucleari del NIF e di altri laboratori dello stesso tipo, alcuni dei quali sono situati in Europa, servono anche a questo scopo, cioè controllare dettagliatamente il funzionamento di un’esplosione termonucleare. Ma se si immagina di poter riprodurre queste microesplosioni in modo stabile a pochi secondi l’una dall’altra ecco che si intravede la possibilità di ricavare energia utilizzabile industrialmente dal medesimo processo.



 

 

Il traguardo del nucleare da fusione, che ha risorse di combustibile virtualmente infinite (isotopi di idrogeno) e produzione di scorie pressochè trascurabile, ha perciò almeno due percorsi: il confinamento magnetico e quello inerziale che inizia ufficialmente in questi mesi la sua corsa. I due progetti di punta, ITER e NIF rispettivamente hanno storie, tempi, programmi e persino modalità di gestione ben diversi (internazionale il primo, nazionale il secondo). Entrambi accomunati da un cammino travagliato dal punto di vista del percorso realizzativo, con ritardi, cambi di rotta, discussioni sui finanziamenti che sono fisiologici in imprese di queste dimensioni. Tali e tanti sono i confini di ignoto da varcare su questo percorso che scommettere su quale dei due arriverà al traguardo (definire le caratteristiche di un reattore industriale) è – ad oggi – più roba da allibratori che da scienziati.