La notizia è arrivata nelle primissime ore della mattinata: un terremoto di magnitudo 8.8 della scala Richter a largo delle coste cilene ha scatenato uno Tsunami, una onda anomala che si sta abbattendo sulle coste del Cile nella zona di Conception. Il terremoto si è già fatto sentire nell’interno e persino la capitale Santiago ha risentito degli effetti del sisma, piombando nell’oscurità a seguito di un generalizzato blackout.



Lo sciame sismico – che colpirà la regione addirittura per mesi – si è fatto subito presente con una seconda scossa di grado 6.2 della scala richter. Abbiamo raggiunto il professor Nevio Zitellini dell’Istituto di Scienze Marine del CNR (ISMAR) ed esperto di tsunami per capire meglio come questi fenomeni si generano, quali sono le potenziali conseguenze e cosa possiamo fare per contrastarli. E la ricerca italiana, ancora una volta, ci ha regalato una piccola perla.



«Studiare gli tsunami è una cosa davvero molto complessa, e i parametri da considerare sono tantissimi, ma – almeno a livello teorico – abbiamo recentemente individuato un possibile “campanello d’allarme” per individuare e reagire rapidamente a fenomeni potenzialmente catastrofici come questo. Fortunatamente pare che l’onda che si è abbattuta sulle coste del Cile non sia stata molto alta, circa 1,5 metri.

Ora si sta valutando l’evacuazione degli abitanti dell’Isola di Pasqua e in serata l’onda potrebbe arrivare alle Hawaii, però dire in anticipo dove questa si abbatterà con esiti devastanti e dove creerà danni limitati è impossibile prima di aver delle misure dell’altezza dello tsunami che si è generato».



E come si contrasta uno Tsunami? 

«Beh, per le infrastrutture c’è poco da fare, nel senso che la gravità del fenomeno dipende molto da interferenze morfologiche molto particolari della costa delle correnti e delle interferenze tra le onde che possono ampilificare o attutire gli effetti dello tsunami, nel caso di quello di Sumatra di qualche anno fa c’era davvero poco da fare: il vero problema è stata la mancata comunicazione di un allerta, si sarebbero potute salvare molte vite almeno in Sri Lanka»

Come?

 

«Allontanandosi dalla costa. Sembra banale, ma è solo questo che si può fare per contrapporsi a un fenomeno della natura di quella portata. Quello su cui bisogna lavorare è invece la comunicazione, l’interconnessione tra i soggetti in grado di gestire le emergenze e la tempestività nella reazione.

Proprio questo è mancato in quel caso. Per quanto riguarda lo tsunami che sta colpendo il Cile, i primi dati parlano di un’onda piuttosto bassa, i danni quindi possono essere limitati alle sole zone costiere, anche se localmente ingenti in termini economici, penso alle navi all’ormeggio nei porti e chiaramente ad eventuali bagnanti, in Cile è la stagione giusta, fortunatamente l’orario non era proprio quello di punta»

 

 

Come mai non tutti i terremoti generano uno tsunami?

 

«I terremoti sono fenomeni molto complessi e di tante tipologie, penso ai terremoti distensivi (si crea una spaccatura), compressivi (si crea un innalzamento) o trascorrenti (due strutture scivolano una rispetto all’altra) che sono caratteristiche che possono anche combinarsi creando un quadro molto complicato.

Empiricamente possiamo sicuramente dire che la magnitudo di un sisma in grado di generare uno tsunami è comunque piuttosto alta, diciamo oltre il settimo grado Richter per dare un riferimento, e l’epicentro deve essere localizzato in mare o nelle immediate vicinanze della costa.

Questo perchè la terra spostandosi trasferisce una grande quantità di energia all’acqua soprastante e questa comincia a spostarsi, ma non è automatico che lo tsunami generato sia grande e quindi che l’effetto sia poi devastante sulle coste vicine. Le ragioni esatte però per cui un terremoto crea uno tsunami e un altro invece non lo crea sono ancora oggetto di indagine scientifica»

 

 

Come mai?

 

«Anzitutto non è scontato che l’energia cinetica di un terremoto si scarichi sulla massa d’acqua soprastante in modo "adatto" a generare uno tsunami. I fattori in gioco su questo aspetto non sono ancora del tutto chiari.

Poi deve tenere presente che in mare l’onda di uno tsunami è molto bassa (qualche centimetro o decina di centimetri) ma si propaga a una velocità elevatissima in condizione di acqua profonda (circa quella di un jet supersonico), poi quando questa massa d’acqua in movimento si avvicina alla costa e si "scontra" con un fondale più basso rallenta e la massa d’acqua retrostante, premendo con violenza su quella che ha rallentato può creare onde anche molto alte.

Naturalmente l’interazione nella massa d’acqua è governata da diversi fattori morfologici delle coste e dei fondali (si alzano dolcemente o bruscamente? Ci sono disomogeneità sottomarine che incanalano i flussi in direzioni particolari? L’effetto sarà attutito o amplificato?) che si possono prevedere con modelli matematici a patto di avere una conoscenza dei fondali ad alta risoluzione che – per esempio in Europa – ancora non abbiamo in modo completo e sistematico, ma solo a macchia di leopardo».

 

 

Ma nel mediterraneo i rischi di tsunami sono praticamente nulli… 

 

 

«No, affatto. Fatta salvo quello che le dicevo poco fa, anche nel mediterraneo c’è il rischio che si verifichino tsunami. In particolare i sismologi e noi sudiosi del fenomeno tsunami ci aspettiamo nei prossimi anni un evento di portata molto ampia nella zona dello stretto dei dardanelli.

Le conseguenze sarebbero potenzialmente devastanti, dal punto di vista sismico per Istanbul, e dal punto di vista del maremoto per la Grecia e la Turchia stessa. Fortunatamente per l’Italia siamo lontani e riparati appunto dalla Grecia orientale, ma l’evento potrebbe essere davvero catastrofico».

 

 

Maremoto?

 

«Sì, maremoto è sinonimo di tsunami, descrive esattamente lo stesso fenomeno, spesso il termine è impropriamente usato per descrivere i terremoti con epicentro in mare, ma non è corretto. Quelli sono appunto terremoti con epicentro in mare, il maremoto – o tsunami – è tutt’altro»

 

 

In Italia abbiamo assistito a polemiche feroci in occasione del terremoto de L’Aquila, che secondo alcuni era possibile prevedere tramite la "lettura" di alcuni precursori (il famoso Radon di Giampaolo Giuliani), mentre la comunità scientifica dice che questo fenomeno si può prevedere solo statisticamente.

Lei cosa ne pensa’ E’ così anche per gli tsunami?

 

«Ragionando scientificamente e cercando di semplificare la realtà traducendola in modelli stiamo cercando di individuare fenomeni anticipatori, ma per ora siamo ancora indietro. Non è affatto semplice. Diversi ricercatori hanno lavorato a un modello che riguarda la "lettura" di quanto avviene nell’atmosfera soprastante alla zona dove – a seguito di un sisma – può generarsi un maremoto.

Se pensiamo che lo tsunami è una massa d’acqua che si sposta a gran velocità seguendo il modello di propagazione dei suoni, è facile immaginare che nell’aria soprastante a un terremoto che generasse uno tsunami si verifichino fenomeni perturbazione dell’atmosfera direttamente collegati, con l’unica differenza che l’aria si sposta molto più  velocemente e noi potremmo anticipare la venuta dello tsunami, magari anche l’intensità e la direzione.

Purtroppo però l’impresa non ha dato i frutti sperati. Ora ci stiamo muovendo in una direzione diversa perchè, a livello anche teorico, sembra che si generi un’onda acustica che si propaga nella colonna d’acqua per cui se questa via è quella buona dovremo comunque aspettare del tempo per realizzare il primo prototipo di sensore»

 

 

E al momento come facciamo a prevedere o a registrare la nascita dello tsunami?

 

 

«Le posso dire con orgoglio che il team di cui faccio parte e che coordino ha realizzato uno "tsunamometro" e messo a punto un sistema di rilevazione innovativo che stiamo sperimentando nel golfo di Cadice (in Spagna, sponda atlantica ndr).

I nostri sistemi sono molto innovativi perché permettono di rilevare l’origine degli tsunami anche se il sisma è prossimo alla costa. Normalmente (e così sono i sistemi di rilevazione americani) questi sono efficienti per terremoti che avvengono lontani dalle coste, mentre sono piuttosto inefficaci per quelli prossimi alla costa, quando invece sarebbe ancor più importante una informazione tempestiva».

 

 

E il suo team cosa sta sperimentando a Cadice?

 

 

«Nel golfo di Cadice stiamo tentando di sviluppare un sistema di warning sugli tsunami che riesca ad avvisare tempestivamente sull’insorgere di questo fenomeno vicino alle coste.

Normalmente purtroppo, oggi se uno tsunami si origina vicino a una costa lo si registra solamente quando l’onda si abbatte sulla terraferma. In nostro sistema sfrutta un sensore di profondità piazzato proprio nelle zone dove potenzialmente il sisma si potrebbe originare, collegato a una boa in grado di registrare lo spostamento collegato della massa d’acqua che è in comunicazione con un sistema satellitare di monitoraggio.

In questo modo riusciamo a comunicare tempestivamente l’insorgenza dello tsunami per poter prendere l’unica contromisura possibile dopo che questo si verifica: la fuga dalla costa. Per noi è importantissimo creare un sistema affidabile, perchè se non si riesce a evitare falsi allarmi la gente poi non è reattiva e l’avviso può perdere efficacia»

 

 

Una sfida imponente…

 

«Si, davvero complessa. Ma io e il mio staff abbiamo ottenuto un risultato – che proprio in questi giorni stiamo diffondendo nei giornali scientifici davvero interessante. Grazie alla dettagliatissima conoscenza della morfologia del golfo di Cadice in cui stiamo lavorando, siamo riusciti a inserire nei modelli di studio degli tsunami la variabile della comprimibilità del materiale adagiato sul fondale della zona di origine potenziale del sisma.

Studiandone le vibrazioni abbiamo scoperto un’onda a bassa frequenza che potremmo definire il "respiro" del terremoto monitorando il quale potremmo avere un campanello d’allarme istantaneo per rivelare gli tsunami. Sarebbe davvero la chiave di volta per poterli individuare con certezza»

 

 

Complimenti, un ennesimo caso di eccellenza della ricerca italiana. Qual è la situazione in Italia legata al monitoraggio degli tsunami?

 

«Siamo un po’ agli inizi di un cammino piuttosto lungo e dispendioso, per ora i fondi arrivano soprattutto dall’Europa però sul consolidamento dell’esistente siamo piuttosto avanti: l’integrazione delle informazioni dell’INGV è davvero eccellente. Il sistema è efficientissimo, per quanto riguarda gli tsunami siamo ancora a livello di ricerca scientifica perché essendo un fenomeno raro nel mediterraneo l’Italia ha una politica di investimenti che convoglia fondi su altri progetti, noi riceviamo finanziamenti più che altro dall’Europa.

Certo gli studi che stiamo compiendo, puntuali su zone molto circoscritte di costa finalizzate a creare modelli teorici permetteranno di tenere conto delle conseguenze di questi fenomeni per ottimizzare le costruzioni di porti o strutture costiere».