Per la prima volta al mondo è stata descritta una modifica biologica nella malattia neurodegenerative nota come còrea di Huntington, individuata ancor prima che i sintomi si presentino. La scoperta ha ancora una targa italiana ed è stata realizzata dai ricercatori dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli (Isernia). Così Ferdinando Squitieri, uno degli autori del lavoro, ha spiegato ai lettori de ilsussidiario.net le caratteristiche della scoperta.



Professor Squitieri, cos’è la còrea di Huntington?

La còrea di Huntington è una malattia genetica di tipo degenerativo. Ha una trasmissione di tipo dominante, ovvero significa che una persona malata può trasmettere la malattia al figlio con una probabilità molto alta, pari al 50 per cento. La causa risiede in una mutazione genetica caratterizzata dalla produzione di una proteina anomala che ha un effetto tossico per la cellula. In particolare colpisce i neuroni e altri distretti corporei come le cellule muscolari.



Quali sono i sintomi?

Generalmente la malattia ha un esordio intorno ai 30-40 anni salvo rare eccezioni. È  caratterizzata da un progressivo decadimento delle funzioni intellettive, disturbi del comportamento e del movimento. La còrea è proprio un disturbo tipico del movimento poiché il paziente simula una danza in quanto non è in grado di coordinare i movimenti volontari degli arti e del tronco. È anche caratterizzata da un tasso di suicidi molto alto. Dunque è una patologia dall’impatto sociale notevole e si conta che in Italia ne siano affette circa 6.000 persone.

Come la si può diagnosticare?



La diagnosi viene fatta attraverso un’analisi genetica. Questa conferma la diagnosi clinica e può essere fatta anche prima che la persona sia affetta dalla malattia.

Esistono attualmente delle cure?

 

Attualmente non esistono cure specifiche per curare questa malattia. Esistono delle cure sintomatiche. Alcune sono molto utili e sono state sperimentate negli ultimi anni migliorando molto i disturbi del comportamento. Proprio l’assenza di una cura specifica è motivo di un’intensa ricerca nel campo della còrea di Hungtington.

 

Nel vostro recente lavoro avete scoperto un nuovo meccanismo dell’insorgenza della malattia: di cosa si tratta?

 

Si tratta di una disfunzione di una neurotrofina, ovvero di un fattore di crescita chiamato TGF-beta 1. Questo è una proteina che ha funzione di protezione nei confronti dei neuroni e delle cellule della glia. Quest’ultime sono cellule che hanno funzione di sostegno del sistema nervoso. In altri termini i fattori di crescita hanno una funzione fondamentale nella vita dei neuroni. Uno di questi fattori molto conosciuti e mai stato segnalato come carente nella patologia, è stato da noi descritto come deficitario nella còrea di Hungtington molto prima che la malattia si manifesti. Questo deficit è rilevabile sia nella corteccia cerebrale sia nel sangue.

 

Come avete condotto le analisi?

 

Lo studio è stato condotto su campioni di tessuto cerebrali di pazienti post-mortem e su campioni di sangue di pazienti malati. Inoltre abbiamo utilizzato un modello animale geneticamente modificato che mima la malattia umana. In questi modelli abbiamo evidenziato una carenza del fattore di crescita. Lo studio si è servito di una modellistica sperimentale ad ampio spettro su più versanti.

 

Attraverso questa vostra scoperta è possibile ipotizzare un nuovo approccio terapeutico alla malattia?

 

 

Non c’è un’immediata ricaduta sulla terapia. Prima dobbiamo comprendere il senso della carenza del fattore e in che maniera interfersice con i meccanismi della malattia. Solo dopo aver chiarito questi aspetti potremo pensare ad una possibile cura. Questo è importante sottolinearlo per non generare false aspettative.

 

Quali sono gli obbiettivi futuri delle vostre ricerche sulla còrea di Hungtigton?

 

Innanizitutto vogliamo capire il motivo del perché questo fattore risulta carente nella corteccia cerebrale e di trovare il modo di correggere l’errore. Dopodichè valutare se la correzione si può tradurre in un effetto terapeutico vantaggioso.

 

Il deficit di questo fattore di crescita è stato segnalato anche in altre patologie neurodegenerative?

 

Molto recentemente è stato segnalato nel caso dell’Alzheimer. Correggendo alcuni aspetti del meccanismo cellulare legato a questo fattore nella malattia di Alzheimer, si sono evidenziati risultati sperimentali positivi in termini terapeutici. Le premesse dunque sono buone.