Ormai abbiamo imparato che per far luce non ci sono solo le lampadine tradizionali ma sempre più si possono utilizzare i LED, queste sorgenti di luce minuscole, efficienti ed energicamente vantaggiose. Le vediamo un po’ ovunque, dai fari delle auto all’illuminazione cittadina. Non si pensava però che potessero avere un utilizzo anche in oculistica. Invece ci hanno pensato alcuni medici che si sono alleati con degli ingegneri elettronici per ideare quello che potrebbe essere descritto come l’uovo di Colombo dell’oculistica. In sostanza, per compensare difetti visivi come le maculopatie, invece di cercare lenti speciali per ingrandire gli oggetti vicini, hanno pensato di ingrandire gli oggetti portandoli lontano.



L’idea iniziale è venuta a Massimo C.G. Ferrari, Responsabile del Servizio Oculistica e Ortottica al San Raffaele-Resnati di Consulente di Ricerca in Fisica Biomedica e Biotecnologie presso lo Human Eye Tech, di Francoforte (Germania). Si era accorto che un collega ipovedente, al cinema sul grande schermo riusciva a vedere benissimo e a distinguere anche i particolari. Nel frattempo aveva saputo della disponibilità sul mercato di mini videoproiettori a LED, delle dimensioni di un cellulare, in grado di proiettare a una distanza di 2-3 metri tutto ciò che normalmente dovrebbe essere gestito a una distanza di 20-30 centimetri. D’altra parte è sempre più ampia la disponibilità in formato elettronico, su un semplice PC, di documenti, immagini, testi prima distribuiti solo su supporti cartacei. Ecco allora la soluzione: collegare uno di questi mini proiettori a un PC portatile, di quelli di piccole dimensioni, e sparare l’immagine sulla prima parete libera presente nei paraggi.



L’idea via via si è perfezionata fino a diventare una metodica clinica, che ha già conseguito risultati apprezzabili, soprattutto nel risolvere problemi di lettura da parte di soggetti ipovedenti anziani: le caratteristiche della luce LED, la penombra della stanza utilizzata, la gestione e la personalizzazione informatica del testo in esame hanno contribuito in modo sostanziale ai buoni risultati ottenuti.

 

È solo uno degli esempi virtuosi dei frutti dell’alleanza tra medici e altri esperti nei nuovi settori della fisica ottica, della biomeccanica, della bioinformatica, della robotica: un’alleanza che ha permesso di sviluppare applicazioni quali sistemi di imaging, nuovi farmaci, trattamenti con laser, nuovi materiali; fino alle promesse delle nano biotecnologie. Così, alcune soluzioni che sembravano destinate solo ad arricchire gli effetti speciali dei film di successo, potrebbero diventare praticabili: come le lenti a contatto bioniche, che sovrappongono le immagini di un normale computer e quelle che l’occhio raccoglie dal mondo esterno, raddoppiando le informazioni senza interferire sulle funzionalità visive.



Ma la soluzione del problema dell’ipovisione è ancora un traguardo difficile. In Italia le persone ipovedenti sono quasi tre milioni e una delle prime cause di ipovisione sono le maculopatie, cioè i danni alla macula che è il punto principale della retina; sono danni che determinano un progressivo impoverimento della capacità visiva e colpiscono sempre più soggetti ancora in età lavorativa rallentandone o impedendone le normali gestioni ravvicinate di lettura e scrittura. Non mancano certo indicazioni terapeutiche e soprattutto di prevenzione, basate queste ultime principalmente su una corretta alimentazione (con molti antiossidanti), sull’astensione dal fumo, su una regolare attività sportiva. A tutto questo ora però si può affiancare questa soluzione hi-tech che, in base alle verifiche cliniche del team che la sta proponendo, presenta un ulteriore vantaggio: il fatto di trovarsi di fronte a immagini ingrandite fa sì che il paziente reagisca in modo diverso e attivi un insieme di risorse visive e fisiologiche che hanno l’effetto di mitigare o compensare il difetto di visione.

 

(Michele Orioli)