Cobite di stagno e carasso, sono nomi di pesci che probabilmente dicono poco a chi non è pescatore, ma che lanciano un messaggio di speranza in quel “disastro ambientale” che ha colpito in questi giorni il fiume Lambro, riempiendo le prime pagine di giornali e telegiornali di bollettini di guerra. La notizia sembra incredibile (chi scrive se non l’avesse visto di persona non ci avrebbe creduto), e sarebbe forse rimasta ignota senza l’allarme sollevato dall’onda di petrolio che ha percorso il Lambro, ma nella zona milanese del fiume, in particolare alle cascate del Parco Lambro a Milano, i suddetti pesci esistono e non sembrano aver sofferto della marea nera che è passata sopra le loro teste.
Certo non si tratta delle specie che prosperano nei torrenti di montagna, ma di pesciolini anguilliformi come il cobite (Misgurnus fossilis) che “è in grado di sopravvivere in condizioni di scarsa ossigenazione” o del carasso (Carassius carassius, imparentato con carpe e pesci rossi) che può sopportare acque “inquinate, torbide e male ossigenate”, ma sono pur sempre il segno che, nonostante tutto, nel “fiume più inquinato d’Italia” qualcosa negli ultimi anni è cambiato. A scoprirlo sono stati i tecnici ambientali chiamati in zona dalle autorità provinciali e municipali a controllare l’ittiofauna del fiume, a seguito del problema degli idrocarburi. Armati di “storditori elettrici” (un retino munito di un lungo manico che emette brevi impulsi di elettricità ad alto voltaggio e bassa intensità) hanno fatto la loro pesca alla cieca, nelle torbide acque del fiume, scoprendo che i pesci ci sono, sono vitali (dopo che si riprendono dalla botta della cattura) ed indicano la presenza di popolazioni di varie età, segno che è in atto una dinamica riproduttiva.
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Secondo gli esperti sentiti in loco nel corso di questo sopralluogo, questi pesci, insieme a piccoli cavedani e alborelle, sono arrivati con le piene del fiume dalle zone a monte di Monza, nel parco naturale della valle del Lambro, che sono rimaste pulite anche negli anni di peggior inquinamento del fiume, e sono il segno che gli interventi di collettoramento fognario e di depurazione delle acque di scarico che si riversano nel fiume a nord di Milano, hanno cominciato a consentire una ripresa anche della fauna ittica, che era da decenni scomparsa nel tratto del fiume che attraversa le zone più antropizzate.
Se i pesci sono il segno più eclatante e sorprendente che nelle acque del Lambro sta un po’ alla volta riprendendo la vita, va detto che già da qualche anno nel fiume era in atto una ripresa della flora acquatica (piante ed alghe del fondo) oltre che un certo ripopolamento delle sponde da parte di varie specie di uccelli acquatici quali germani reali, folaghe, aironi (purtroppo in questi giorni scomparsi), che hanno iniziato a sostituire la presenza dei gabbiani gli unici rimasti, in passato, a gradire le acque sporche del fiume, ed a prosperare del costante flusso di rifiuti galleggianti che l’acqua trasporta.
Non vogliamo sembrare troppo ottimisti sullo stato delle acque del Lambro, e certamente il “criminale” (come lo ha giustamente chiamato il presidente Formigoni) sversamento di idrocarburi non ha fatto bene al fiume, qualunque sia stata l’effettiva quantità rilasciata (a questo proposito si sono lette sui media delle cifre assurde, quali i 600.000 metri cubi, inizialmente indicati nei comunicati di Legambiente, forse confondendo i litri con i metri cubi). Però già si intravede, nella zona urbana milanese, che le piene di questi giorni hanno dato una grossa ripulita all’alveo, salvo nelle zone di riflusso o nelle derivazioni laterali, dove saranno le squadre di pulizia a dover intervenire. Certo nella zona del Parco Lambro aleggia sempre uno sgradevole odore di petrolio, ma per chi ci passa spesso vicino non è un odore molto peggiore di quello che il fiume emette nei periodi di magra.
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Attorno al “capezzale” di questo fiume si è vista in questi giorni una gran massa di persone e c’è da sperare che i timori di un suo definitivo decesso, agitati da più parti, assieme ai timori di tutto quanto potrà capitare nel suo corso a valle di Milano, e anche nel fiume Po, servano se non altro a ravvivare le cure per un malato di quelli che “non ricevono mai visite da nessuno”, che è sempre molto grave, ma non moribondo, e che anzi stava dando alcuni segni di possibile ripresa. In questo senso è gravissimo pure il danno che la marea nera ha provocato al grande depuratore di Monza San Rocco, che ha svolto un ruolo fondamentale per una certa ripresa del fiume, il quale dovrà lavorare per diverso tempo a capacità ridotta, lasciando rifluire nel fiume acque fognarie non trattate, che potrebbero di nuovo distruggere quel poco di vita, anche ittica, che si è riformata.
Questo disastro ambientale ci sembra peraltro l’occasione per ribadire che il degrado del Lambro non è esclusivamente una questione delle sue acque. Tutto il percorso del fiume, specie nel tratto fra Monza e San Giuliano Milanese testimonia con lo squallore e la sporcizia delle rive, con l’alveo pieno di rifiuti affioranti, con i suoi fondi scuri e melmosi che lo fanno apparire perennemente limaccioso, che questo fiume non ha ancora cessato di essere lo specchio di una trascuratezza delle componenti più naturali del territorio – quali sono i fiumi – da parte della popolazione e delle autorità, che non è stata ancora superata. Speriamo che i pesciolini pescati al Parco Lambro e il disastro della Lombarda Petroli, diano, come un terremoto, una forte scossa alla coscienza civica dei cittadini (che continuano a scaricare nel fiume rifiuti solidi d’ogni genere) e alla solerzia delle autorità.