Mentre sembra non voglia più finire un inverno che da più parti è stato indicato, per l’emisfero settentrionale, come uno dei più lunghi e freddi degli ultimi decenni (ma come non ricordare il rigido inverno del 1985, che in vaste zone del centro Italia arrivò a far seccare gli ulivi) ci sembra interessante riprendere le ragioni, almeno alcune di quelle note, di questo andamento climatico, che pur nella sua eccezionalità ha ripetuto schemi già osservati nel passato e non è quindi attribuibile, checché se ne senta dire, al tanto discusso riscaldamento globale dell’atmosfera.



E’ vero peraltro che l’arrivo di correnti e impulsi d’aria fredda a latitudini intermedie, quali quelle dell’Europa centro-meridionale e degli Stati Uniti è stranamente favorito dallo stabilirsi nella stratosfera al di sopra del Polo Nord, di condizioni di temperatura superiori alla norma, per cui in sostanza, semplificando molto, si può affermare che “da noi fa più freddo perché al Polo fa più caldo”.



Ma, procedendo con ordine, cominciamo col ricordare che è da tempo noto ai meteorologi che nell’emisfero settentrionale il clima invernale viene in buona parte condizionato dallo stabilirsi, nella porzione di atmosfera all’incirca delimitata dal circolo polare artico, di una circolazione vorticosa permanente che interessa la stratosfera (cioè l’atmosfera a quote comprese all’incirca fra 10.000 e 50.000 metri), e che si estende in basso anche nella troposfera (la bassa atmosfera), ruotando nello stesso senso di rotazione della terra.

Se questo ciclone si mantiene stabile e molto freddo (tipicamente -50 °C ad alta quota) interagendo in modo corretto anche con le cosiddette correnti a getto, che sono forti correnti d’aria permanenti che si stabiliscono a quote al confine tra troposfera e stratosfera, il clima invernale alle latitudini europee viene dominato dalle correnti umide, ma non troppo fredde, che provengono dal Nord-Atlantico.



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Al contrario, se il vortice polare viene disturbato dallo stabilirsi nella stratosfera di temperature più elevate, fenomeno che viene definito stratwarming (nel corso del quale possono svilupparsi differenza di temperatura anche decine di gradi in una sola settimana) succede che l’aria gelida della circolazione polare per così dire “deborda”, si scinde in cellule multiple, scende più facilmente verso latitudini inferiori, ed apporta quelle condizioni di freddo e di precipitazioni nevose che stanno caratterizzando questo inverno.

Per giunta le conseguenze dei fenomeni di stratwarming sulla circolazione nella bassa atmosfera possono proseguire per molte decine di giorni, e produrre quindi fenomeni persistenti e ripetuti. Per completezza dobbiamo aggiungere a questo punto che anche la tendenza opposta allo stratwarming, cioè lo stabilirsi di temperature inferiore alle norma nella circolazione polare, produce conseguenze rilevanti, ma di diverso tipo: per esempio il clima invernale alle latitudini italiane tende a divenire molto secco, mentre tende ad essere molto umido e mite alle latitudini dell’Europa settentrionale. 

 

Tornando alle tipiche situazioni meteorologiche che si creano in inverni come quello di quest’anno, aggiungiamo brevemente che esse sono caratterizzate dalla persistenza di vaste circolazioni fredde sull’Europa centrale, la Russia, la Cina e gli Usa sud-orientali, mentre vaste aree del Canada settentrionale e della Groenlandia sperimentano temperature superiori alla norma. Inoltre le circolazione fredde tendono a bloccarsi sulle terre emerse e in questo modo ulteriormente a persistere a causa della diminuzione degli scambi con le aree oceaniche (relativamente) più calde.

 

 

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Purtroppo una spiegazione esauriente e convincente dei motivi per i quali si verificano gli stratwarmings per il momento non esiste. Gli studiosi della meteorologia e del clima si devono quindi in qualche modo limitare ad accumulare dati e osservazioni e a constatare le possibili correlazioni col verificarsi di fenomeni meteorologici di vasta portata, quali la pluricitata oscillazione della temperatura delle acque dell’Oceano Pacifico meridionale (El Niño).

 

Per lo studio di fenomeni meteorologici tanto complessi val al pena di ricordare che sono fondamentali i dati continuamente prodotti, e ormai disponibili da molti anni, dei satelliti artificiali appositamente dedicati alla misura della temperatura dell’intera atmosfera. Uno di questi è il satellite AQUA lanciato dalla Nasa nel 2002, che si muove su un’orbita sincrona con il Sole e attraversa l’equatore ogni dodici ore, all’incirca alle 1,30 e alle 13,30 del tempo solare locale.

Lo strumento AMSU (Advanced Microwave Sounding Unit) a bordo del satellite, effettua in continuazione una scansione degli strati atmosferici che passano sotto il satellite, misurando i bassissimi livelli di radiazione termica a microonde emessa dall’ossigeno molecolare dell’atmosfera nel complesso di assorbimento dell’ossigeno fra i 50 e i 60 GHz. Un altro strumento anch’esso a bordo di AQUA, lo scandaglio di temperatura nell’infrarosso AIRS (Atmospheric InfraRed Sounder), misura invece l’emissione termica dell’anidride carbonica atmosferica.

 

 

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Questi strumenti forniscono misure accurate, ma soprattutto molto stabili nel tempo, in quanto vengono continuamente ricalibrati utilizzando un “bersaglio di calibrazione caldo”, che sta all’interno dello strumento, la cui temperatura viene continuamente monitorata tramite diversi termometri a resistenza di platino (PRT) ad altissima precisione. Un secondo punto di calibrazione, dal lato freddo della scala di temperatura, viene ottenuto puntando l’antenna del radiometro verso il fondo cosmico, che come è noto irradia alla temperatura assoluta di 2,7 K.

 

Il problema più grosso che si è dovuto affrontare nel creare delle registrazioni dotate di stabilità sul lungo periodo, è il decadimento orbitale dei satelliti. Prima del 2002, tutti gli altri satelliti che portavano dei radiometri avevano delle orbite che gradualmente decadevano per effetto delle piccole resistenza incontrate nell’attraversare gli strati più alti dell’atmosfera, ed era necessario effettuare delle correzioni. Per i dati prodotti da AQUA questa correzione non è più necessaria, in quanto esso porta a bordo del combustibile ausiliario utilizzato per mantenere costante l’orbita.

 

Le misure provenienti dai satelliti sono fondamentali per fornire quella mole continua di dati globali, che possono permettere di misurare sia le tendenze di lungo periodo, indotte per esempio dal riscaldamento globale, sia per ottenere rapidamente le distribuzione globali di temperatura che hanno rilevanza per i fenomeni meteorologici di più breve periodo. Stranamente, le risorse economiche dedicate alla raccolta ed elaborazione di questi dati, sono minori di quelle dedicate ad altri campi delle scienze climatiche, per esempio ai modelli matematici di previsione degli effetti delle emissioni antropiche in atmosfera.

 

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