Parlare di evoluzione negli Stati Uniti non vuol dire soltanto innescare accese polemiche tra gli opposti schieramenti pro e contro Darwin o pro e contro i cosiddetti creazionisti. C’è un modo di parlarne che tocca aspetti più sostanziali e che raggiunge quel livello di domande che tutti si pongono sulla natura e sull’ambiente che ci circonda che sembra strutturato proprio per ospitare noi esseri umani. E’ l’approccio sperimentato da un gruppo di scienziati che, riuniti nell’Associazione Euresis Usa, hanno realizzato la mostra The Earth, a Human Habitat, prendendo come riferimento l’analoga mostra presentata da Euresis al Meeting di Rimini del 2001 col titolo Una Terra per l’Uomo.



Il lavoro di preparazione dell’esposizione – avvenuta in occasione del New York Encounter nel gennaio scorso in una sala del Marriott in Time Square – e del relativo catalogo, ha prodotto una serie di riflessioni e di giudizi sul modo col quale l’argomento “evoluzione” arriva al grande pubblico (non solo americano) tramite i media. Quando si parla di evoluzione nei mass media, la parola è spesso usata per riferirsi a cose diverse. Persino i sostenitori della “evoluzione” non sempre intendono la stessa cosa con questo termine. Di conseguenza, vengono fatte affermazioni che hanno la pretesa di basarsi su fatti sebbene non siano state dimostrate scientificamente e addirittura, talvolta, non appartengano neppure all’ambito scientifico.



Ciò che comunemente si intende per evoluzione è non solo il processo in base al quale sono emerse molte specie diverse di esseri viventi (speciazione), ma anche il processo che ha dato origine alla vita stessa da materia inanimata. Charles Darwin è ampiamente riconosciuto come il padre fondatore dell’evoluzione, benché egli non abbia apportato nessun contributo sostanziale sull’evoluzione nel secondo senso. Darwin identifica i due principali meccanismi dell’evoluzione di nuove specie nelle mutazioni casuali e nella selezione naturale; nel XX secolo gli scienziati hanno studiato soprattutto i cambiamenti nel codice genetico di un organismo per spiegare, o forse specificare, la nozione di mutazioni casuali.



PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO

Per brevità e chiarezza, identificheremo tre concezioni distinte di evoluzione che circolano nei media. Queste tre concezioni hanno una comune origine e ispirazione, ma hanno anche notevoli differenze tra loro; eppure, queste differenze sono raramente esplicitate da chi parla di questi temi. Dunque, l’“evoluzione” può essere intesa come: a) un processo, comprendente mutazioni genetiche casuali e selezione naturale, che era ed è una forza trainante nello sviluppo della vita sulla terra; b) un processo, comprendente mutazioni genetiche casuali e selezione naturale, che fornisce la spiegazione esauriente dello sviluppo della vita sulla terra, dai più semplici organismi viventi fino agli esseri umani; c) un processo, comprendente mutazioni genetiche casuali e selezione naturale, che fornisce la spiegazione esauriente dell’esistenza e della natura di tutti gli esseri viventi, compresi gli esseri umani.

 

 

L’affermazione a) ha una base scientifica molto solida. Ci sono innumerevoli prove paleontologiche e biologiche in suo sostegno; i virus, ad esempio, si evolvono in continuazione sotto i nostri occhi. L’affermazione b) è nel migliore dei casi un’affermazione ipotetica ed è tutt’altro che dimostrata. Più di una volta nella storia della scienza una teoria che si riteneva fornisse una spiegazione completa o definitiva di un insieme di fenomeni si è poi dimostrata inadeguata o persino errata.

Ad esempio, verso la fine del XIX secolo era convinzione diffusa che la fisica classica fosse in grado di spiegare, almeno in linea di principio, potenzialmente tutti i fenomeni naturali, a meno di alcune eccezioni peraltro di poca importanza. Ma guardando più attentamente proprio queste eccezioni, gli scienziati scoprirono la relatività e la meccanica quantistica e la fisica classica smise di regnare suprema. Per di più, il filosofo Karl Popper ha suggerito che la falsificazione sia l’unica fonte di reale certezza nella scienza (ovvero, che una teoria scientifica sostenuta da migliaia di esperimenti positivi non implica l’assoluta certezza della propria verità, mentre un singolo controesempio è sufficiente a mostrare che la teoria è sbagliata o incompleta).

PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO

Sebbene la posizione di Popper sia stata criticata per essere un po’ eccessiva, essa giustamente ci ricorda che la scienza si sviluppa per approssimazioni successive e che le relativamente poche certezze assolute si trovano, per così dire, all’estrema periferia delle sue normali attività. Inoltre, nel caso dell’evoluzione siamo ben lontani dal possedere spiegazioni esaustive sullo sviluppo della vita sulla Terra, nonostante i passi da gigante compiuti dalla biologia nel secolo scorso.

A questo riguardo è importante riconoscere come molti scienziati siano arrivati a ritenere che, per spiegare l’evoluzione della vita sul pianeta, occorra invocare altri meccanismi: trasferimento genico, mutazione neutrale e retroelementi/trasposoni, per citarne solo alcuni. Le prove dell’esistenza di tali meccanismi fanno obiezione all’idea dell’insieme di “mutazioni” da cui la natura “seleziona” nuovi tipi emerga solo in modo casuale, per mezzo di mutazioni genetiche. Recentemente sono state fornite prove che certi fattori epigenetici (cioè, fattori non specificati dal DNA ma derivati invece dall’ambiente e dall’interazione dell’organismo con esso) possano essere ereditati, e questo suggerisce nuove visioni del meccanismo evolutivo.

Sviluppi come questo rimettono in discussione la supremazia della visione darwiniana, che propone di spiegare la speciazione solamente attraverso il duplice meccanismo di “mutazioni casuali e selezione naturale”. In breve, l’affermazione b) lascia ampio spazio alla riflessione, alla ricerca e al dibattito scientifico. L’affermazione c) abbandona completamente l’ambito scientifico. Non solo essa erroneamente considera l’affermazione b) un dato di fatto. In più, essa si fonda sull’assunto indiscusso che la vita umana possa essere ridotta interamente ai suoi componenti biologici.


PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO

 

Questa concezione è tutt’altro che convincente, in quanto per svariati aspetti della vita umana non c’è una credibile spiegazione biologica attualmente disponibile; e non è per niente chiaro come si possa perfino incominciare a spiegare tali aspetti in termini meramente biochimici. Cosa può voler dire codificare l’esigenza umana di giustizia, verità, bellezza e amore, o l’autocoscienza che vi sta dietro, in un qualche gene o insieme di geni? L’affermazione c) semplicemente presume, senza averne la licenza e apparentemente con poca coscienza di ciò che dimentica, di poter motivare quelle dimensioni della nostra umanità che trovano profonda espressione nelle più potenti opere letterarie e artistiche, e negli scritti di grandi filosofi.

Senza dubbio, quelle dimensioni della realtà che più interessano il biologo possono avere un impatto molto tangibile pure sulle attività umane più elevate. Non ci si può aspettare che un poeta nel pieno di un attacco di appendicite acuta componga poesie memorabili. Eppure, non si può da questo dedurre che la sua musa poetica risieda in un breve tratto di appendice sana.

Lo scrittore Richard Dawkins offre un esempio paradigmatico dell’eccesso che caratterizza certi esponenti dell’evoluzionismo, quando scrive ne “L’orologiaio cieco”: «Il Darwinismo abbraccia tutta la vita […]. Esso fornisce l’unica spiegazione soddisfacente del perché esistiamo, del perché siamo come siamo». Sebbene egli ammetta che «un tempo la nostra esistenza si presentasse come il più grande dei misteri», nondimeno insiste che «questo non è ormai più un mistero, perché è risolto. Darwin e Wallace l’hanno risolto». Egli sostiene che le sue tesi si possono dedurre direttamente dal consenso scientifico riguardante le prime due nostre affermazione; ma il ragionamento mostrato nelle sue opere si attua a un livello completamente diverso ed è del tutto insufficiente come dimostrazione scientifica dell’evoluzione nel senso inteso nel punto c).

 

 

PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO

In mancanza di un fondamento scientifico adeguato, il darwinismo diventa un sistema quasi filosofico. Quando leggiamo che “il darwinismo abbraccia tutta la vita” rammentiamo le grandi ideologie del XX secolo, che portarono simili pretese di esaustività, con i tragici risultati che tutti conosciamo. Se le mutazioni casuali e la selezione naturale sono i soli fattori che governano la vita umana, allora qualsiasi tipo di violenza contro gli esseri umani trova facile giustificazione. Possiamo vedere qualche accenno di darwinismo ideologico in certe posizioni nel dibatto sul fine vita.

Riteniamo che un approccio ragionevole alla realtà sia tale da sforzarsi di prendere in considerazione tutti i fattori. L’evoluzione è una forza trainante nello sviluppo della vita sulla terra, ma ciononostante non rappresenta una spiegazione esauriente e meccanica di chi siamo. La nostra esistenza è un mistero. Nelle parole del premio Nobel per la fisica Albert Einstein: «Non si può che provare stupore quando si contemplano i misteri dell’eternità, della vita, della meravigliosa struttura della realtà».

O come scrisse un altro premio Nobel, Richard P. Feynman: «Lo stesso fremito, lo stesso stupore e mistero, si ripresenta ogni volta che guardiamo qualunque problema con sufficiente profondità. La maggiore conoscenza porta un mistero più profondo e meraviglioso, che ci attrae a penetrare ancora più a fondo». Sia Einstein che Feynman ci testimoniano la natura di ogni iniziativa veramente umana – compresa, in modo privilegiato, l’attività della ricerca scientifica – che tutta esprime lo struggimento per svelare il significato della realtà.

 

 

(Di Giorgio Ambrosio, Massimo Bionaz, Paolo Caimi, John McCarthy)

Leggi anche

EVOLUZIONE/ Pro o contro Darwin? Prima leggiamolo...EVOLUZIONE/ Solfobatteri: identici da due miliardi di anni. Ma non è stasi evolutivaEVOLUZIONE/ Cambiamo Darwin, anzi no: lo scontro tra "progressisti" e conservatori