Nel corso del 2009 abbiamo assistito alla pandemia di influenza A(H1N1) detta anche influenza suina. Il professor Alessandro Vespignani, docente all’Università dell’Indiana negli Stati Uniti e studioso di reti complesse, ha raggiunto grande notorietà negli Stati Uniti grazie alle sue previsioni sulla diffusione della pandemia. In questa intervista spiega ai lettori de IlSussidiario.net i risultati raggiunti.




Professor Vespignani, come è nato il suo interesse per le reti complesse e l’epidemiologia?

Ho iniziato la mia carriera come fisico della materia, interessandomi in particolare ai sistemi con molte particelle che interagiscono. Poi ho cominciato a studiare – in maniera molto teorica – processi di diffusione come le epidemie. La ragione per cui mi sono interessato alle reti complesse è che fondamentalmente tutti i processi epidemici avvengono su reti, come i nostri contatti fisici o le reti di trasporto, per cui le persone si muovono da un luogo all’altro trasmettendo la malattia o gli agenti patogeni.



Che utilità ha avuto la sua esperienza nella fisica della materia?

Credo che in questi problemi si vada sempre più verso un approccio interdisciplinare. La matematica dell’epidemiologia è molto sviluppata, ma l’idea è che venendo da un campo diverso uno possa portare delle idee innovative sia dal punto di vista tecnico, sia concettuale. Per esempio, abbiamo applicato alcune tecniche usate per la simulazione dei materiali o della turbolenza a fenomeni dove le “particelle” o gli agenti sono persone. Nello stesso modo anche concettualmente i fisici possono dare un contributo in campi in cui ci si confronta con tutta la complessità del sistema sociale. Infatti, quando abbiamo una pandemia ci troviamo di fronte a un fenomeno assolutamente globale, in cui ci sono sei miliardi di individui, eterogeneità a tutte le scale, ci sono reti di mobilità che vanno dalle poche ore dei movimenti dei pendolari a periodi molto più lunghi per viaggi intercontinentali. Tutto questo apre degli scenari di applicazione ed è quello che mi ha interessato: l’idea di entrare in problemi nuovi e portare una prospettiva diversa. Non sempre questa è un’operazione di successo: in alcuni casi funziona, in altri non funziona; bisogna essere molto umili, non arroganti, quando si entra in un campo che non è quello della tua formazione. In molti casi, poi, bisogna essere disposti a collaborare.



E nell’epidemiologia questa collaborazione c’è stata?

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Sì, l’epidemiologia è sicuramente un esempio di successo. Ovviamente non solo si deve collaborare con gli epidemiologi o con i medici, ma ci deve essere anche da quei campi la disponibilità ad essere aperti a nuove idee.

Qual è lo scopo del vostro lavoro?

Quello che stiamo cercando di fare è prevedere la diffusione di una pandemia. Per esempio, dato un allerta come quello di fine aprile 2009 in Messico, di cui si conoscono alcuni dati iniziali, cerchiamo di prevedere quale sarà l’evoluzione dell’epidemia: dove, quando e quanto forte sarà. Proprio come quando si vede per la prima volta formarsi un ciclone in mare aperto e si cerca di prevederne la traiettoria per capire dove investirà la terraferma per eventualmente far evacuare la zona. Tutte queste previsioni servono alle autorità per prendere provvedimenti. È chiaro che, come in tutti i metodi statistici, può capitare che quando il ciclone arriva a terra abbia perso la sua forza o che la traiettoria sia in realtà diversa. Però avere questo tipo di indicazioni in molti casi permette di salvare milioni di vite. Noi cerchiamo di fare lo stesso con le epidemie.


Che tipo e che mole di dati occorre raccogliere per realizzare dei modelli epidemici efficaci?

In primo luogo utilizziamo dati ad altissima risoluzione che ci dicono quante persone vivono sulla Terra in cellette di 15×15 km. Poi c’è un secondo insieme di dati che ci dice come si muovono queste persone. Ci sono quelli che riguardano il trasporto aereo, che sono i più semplici da ottenere. Poi ci sono i dati di commuting: il tragitto che compiamo quando andiamo al lavoro, portiamo i bambini a scuola, ecc… Questi sono i dati più difficili da reperire. Per la scala di risoluzione a cui lavoriamo, ci sono voluti quasi cinque anni per raccoglierli e integrarli con quelli del trasporto aereo. Alla fine si ottiene un mondo sintetico con cui possiamo simulare ogni giorno la mobilità umana su scala planetaria. A questo punto inseriamo tutti i dettagli del virus specifico e creiamo queste grandi simulazioni in cui la malattia si evolve. Il caso dell’H1N1 è un po’ più semplice del solito perché sull’influenza si conosce moltissimo, molti parametri sono stabili nelle diverse varianti del virus e rimangono solo due parametri che possiamo ricavare dai dati.

 

Qual è la lezione che hanno dato gli studi sull’influenza A(H1N1)?

 

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 La cosa interessante è che queste tecniche computazionali nuove non erano mai state utilizzate sul campo, neanche con la SARS. Quindi era la prima volta che verificavamo il modello in tempo reale. L’esperienza è stata molto buona. Siamo riusciti a prevedere con due settimane di anticipo le zone calde, dove ci si poteva aspettare l’epidemia nella fase iniziale. Poi abbiamo fatto l’esercizio sulle scale temporali più lunghe, e durante l’estate abbiamo calcolato quando ci sarebbe stato il picco di attività in 220 Paesi per l’inverno del 2009. L’influenza ha un picco stagionale molto forte, di solito si verifica nei mesi di dicembre/gennaio. Quello che abbiamo visto invece era un picco molto anticipato: in Europa e Nord America vedevamo un picco a fine ottobre/metà novembre e solo in alcuni Paesi a fine novembre. A posteriori tutte queste previsioni si sono rivelate esatte. Questo è un grande incoraggiamento per noi ad andare avanti. Per quanto ci sia molto lavoro da fare, questo vuol dire che i modelli già allo stato di oggi riescono a dare delle previsioni quantitativamente sensate, che possono produrre dell’informazione di valore. Per esempio, i nostri dati dicevano che non ci sarebbe stato il tempo di fare una campagna di vaccinazione globale, ma solo campagne mirate per le categorie a rischio.

Che cosa dicono i vostri studi rispetto all’utilità di restringere i movimenti?

Restringere i movimenti aerei è altamente inefficace, ovvero bisognerebbe restringerli così tanto, – oltre il 90% a livello mondiale, – che questo vorrebbe dire distruggere l’economia di una serie di Paesi. Questo si può spiegare anche analiticamente attraverso la complessità delle reti di trasporto. Per quanto riguarda chiudere scuole e uffici, bisogna usare modelli diversi dai nostri, a scala molto più fine, che hanno grosse limitazioni numeriche. Questi modelli però mostrano che chiudere le scuole per due settimane rallenta solo l’epidemia che poi riprende come prima. È chiaro poi che chiudere le scuole ha un grande costo sociale ed economico, e la decisione ultima spetta alla politica. Ma questi modelli provvedono informazioni importanti.


Quali sono le sfide per il futuro?

Direi che siamo entrati in un’era dove, grazie alla disponibilità di dati su larga scala, comincia a diventare possibile affrontare problemi in cui si mischiano aspetti tecnologici con aspetti sociali. Questo ci fa sperare di poter affrontare altre sfide oltre all’epidemiologia, come l’evoluzione di Internet e la progettazione di infrastrutture complesse. Uno dei più grandi problemi aperti è il fatto che in molti casi le previsioni automaticamente cambiano il sistema e le rendono inefficaci. Mentre il tempo atmosferico è estraneo alle nostre previsioni, qualunque sistema sociale reagisce alle previsioni. Se annuncio che una pandemia farà milioni di morti, il comportamento delle persone cambierà. A quel punto la previsione stessa è parte del sistema dinamico e questo crea un ciclo che rappresenta ancora adesso una sfida concettuale. I nostri sistemi hanno funzionato per questa influenza perché è stata abbastanza debole e quindi le persone hanno continuato a fare quello che facevano ogni giorno. Ma se immaginiamo un’epidemia che porta alla distruzione della società, la nostra capacità di prevedere cosa succede diventa impossibile con questi metodi. Sono punti interrogativi molto grandi per il futuro.

 

(a cura di Davide Cellai)

 

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Diffusion of the H1N1 pandemic obtained with large-sclae simulations
of the Global Epidemic and Mobility (GLEaM) model. The color scale
indicate the number of clinical cases.

 

 

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Visualization of the infection spreading network for a simulated
influenza pandemic starting in the far east. The edges identify the
importation of the first infected individuals from one region to
another of the world. The color goes from red to blue and signal the
time (red at the beginning, blue at the end of the pandemic).

 


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 Visualization of the human mobility network worldwide. It includes
multimodal commuting patterns and the entire airline traffic.