Prodotte con metodologie innovative e oggetto di una richiesta di brevetto europeo: sono le molecole ibride in grado di uccidere cellule tumorali senza danneggiare quelle sane. La scoperta, ad opera del gruppo di ricerca anglo-italiano chiamato Recombinant Immunotoxin Collaborative Group (RICG), porterà a una fase di studio pre-clinico per confermarne l’efficacia terapeutica. Parte di questo lavoro di ricerca è stato pubblicato su Faseb Journal. Abbiamo intervistato il professor Aldo Ceriotti dell’Ibba-Cnr, uno dei partner del RICG.



Professor Ceriotti, che cos’è la saporina e perché viene utilizzata nella terapia antitumorale?

La saporina è una tossina vegetale prodotta ed estratta da una pianta chiamata Saponaria officinalis. Essa ha la singolare capacità di interferire con un meccanismo essenziale per la vita delle cellule. La saporina va ad interferire con la sintesi proteica e di fatto blocca la produzione delle proteine. In particolare questa tossina va ad agire a livello dei ribosomi, ovvero quelle strutture necessarie alla sintesi proteica. Sia la saporina che altre molecole simili sono utilizzate già da tempo come possibile arma contro le cellule tumorali.



La saporina è adatta in maniera particolare per una precisa categoria di tumori o la si può utilizzare in maniera più ampia?

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In generale non c’è un tumore specifico che viene trattato con la saporina. Può essere utilizzata per varie forme di tumore. Il nostro studio prevede l’utilizzo della saporina nella cura delle leucemie, ovvero nei tumori del sangue. Ciò avviene da circa vent’anni. Il nostro progetto è collegato all’attività di una fondazione no-profit, la “Leukaemia buster”, fondata da David e Bee Flavell che lavorano da anni in questo campo. Fondazione nata in un periodo in cui il figlio dei fondatori era affetto da leucemia.



 

Cosa contraddistingue la vostra ricerca rispetto alla classica chemioterapia tradizionale?

 

La nostra ricerca ha l’obbiettivo di unire la tossina a dei frammenti proteici. In questo modo, indirizzando la saporina o i suoi derivati in maniera specifica verso le cellule leucemiche, cerchiamo di evitare che la saporina vada ad agire anche sulle cellule sane.

 

In particolare che cosa avete sperimentato?

 

In passato l’approccio era quello di coniugare alla molecola di saporina dei frammenti proteici. Il tutto avveniva in vitro. Nel nostro lavoro abbiamo invece sperimentato un approccio alternativo. Questo prevede che non vi sia più una coniugazione di due differenti molecole ma che si produca una sola molecola in grado di contenere sia saporina che frammento proteico. Il grosso problema di questo approccio è che la produzione di questo genere di molecole è tossico anche per quei microrganismi che i ricercatori utilizzano per produrre la molecola. La nostra ricerca ha portato alla scoperta di un microrganismo, opportunamente modificato, in gradi di produrre la nostra molecola senza problemi di tossicità per l’organismo produttore. Abbiamo dunque trovato un sistema per produrre in maniera significativa molecole coniugate di saporina. Questo sistema è attualmente in attesa di approvazione per ottenere un brevetto a livello europeo.

 

Obbiettivi futuri?

 

Nel futuro abbiamo l’obbiettivo di portare la produzione di queste molecole a livelli consistenti. Successivamente fare tutti i test necessari per portare le molecole alla sperimentazione clinica.