Nel bailamme sull’approvazione della patata Amflora della BASF da parte della commissione europea se ne sono sentite di cotte e di crude. Dalla difesa del consumatore a quella dei prodotti tipici si trovava di tutto. Peccato però che le prime vittime siano state i fatti. Nella buona scienza (così come nella vita onesta) a ognuno son concesse le proprie opinioni, ma non i propri fatti. Detto altrimenti, la buona scienza, come la vita onesta, devono fare i conti con la realtà. Proviamo allora, in sintesi, a ripartire dai dati.



La patata è un tubero essenzialmente fatto da amido e l’amido è uno degli costituenti più importanti della dieta, (che non vuol dire che ne possiamo mangiare quanto ne vogliamo, però). La patata produce nel tubero due tipi di amido: amilosio (20%) e amilopectina (80%). Il primo è come un filo (polimero lineare), che tende ad assumere la forma di spirale quando è sciolto in acqua. Quando è in concentrazione sufficiente tende a far gelificare la soluzione, come la gelatina appunto. Il secondo, l’amilopectina, è un polimero ramificato, come appunto i rami di un albero. È fatto sempre dallo stesso zucchero, il glucosio, per cui quando lo mangiamo alla fine dà lo stesso risultato in termini nutritivi e di calorie, ma hanno strutture lievemente diverse e quindi le loro proprietà fisiche sono diverse. L’amilopectina non tende a gelificare ma ad aumentare la viscosità e come tale viene aggiunta in tanti processi. Viene usata ad es. dell’industria cartaria e nell’industria estrattiva (perforazioni), come addensante. Visto che per molte applicazioni industriali è utile solo l’amilopectina, da molto tempo si sono cercati modi per separarla dall’amilosio. Il procedimento per via chimico-fisica costa ed è complicato, per cui vie alternative sono desiderabili. Siccome è di fatto possibile spegnere qualsiasi gene di un organismo (in effetti è una delle cose più semplici da fare), diversi ricercatori nei primi anni ’90 hanno spento il gene responsabile per la sintesi dell’amilosio nella patata in modo da ottenerne una che fa solo amilopectina.



 

Occorre sottolineare con forza che il risultato non è una “follia” accessibile solo tramite i metodi avanzati dell’ingegneria genetica (impropriamente: un OGM), ma che tale risultato – una pianta che accumula solo amilopectina – è possibile ottenerla in diversi modi o è addirittura una variante spontanea che si ritrova in natura. È già successo per i mutanti waxy di mais e frumento (per mutazione spontanea) e l’hanno fatto anche per la patata con metodi classici. Utilizzando sostanze mutagene che colpiscono a caso i geni della pianta, hanno colpito, inattivandolo, anche il gene per la sintesi dell’amilosio. La cosa stupefaciente è che la patata amflora ha avuto un iter per l’approvazione di circa 15 anni, mentre la patata ottenuta per mutagenesi (che, ripeto, è la stessa cosa per quanto riguarda l’amilosio) è andata subito in coltivazione senza alcun controllo preventivo sui reali rischi che le patate comportano. E che le patate comportino rischi si sa da lungo tempo: possono essere fatali. Un lavoro “classico” del 1925 pubblicato sulla rivista Science (Hansen A. A. – 1925 – Two fatal cases of potato poisoning. Science 61:340-341) racconta di una famiglia americana intossicata da patate contenenti alte quantità di glicoalcaloidi. Due dei sette membri morirono. I glicoalcaloidi sono sostanze normalmente prodotte dalla pianta e presenti un poco dappertutto (es. nelle foglie, ma anche nei tuberi, seppure in dose minore e che normalmente non desta preoccupazioni). Ma in certe condizione (quando rinverdiscono o sono malate) o per effetto di manipolazioni genetiche (ad es. per semplice incrocio e selezione) la quantità di glicoalcaloidi può aumentare improvvisamente e diventare un rischio reale.



 

 

Se una patata simile ad amflora si ottiene per via convenzionale, utilizzando tecniche vecchie e molto meno precise, non è possibile che la patata transgenica sia intrinsecamente pericolosa e quella convenzionale senza pericoli. E se nessuno si lamenta della stessa patata quando prodotta per via convenzionale, è ovvio che la gente che si oppone lo fa per motivi diversi dalla difesa dell’ambiente, della salute o dei prodotti tipici. Qualcuno obbietterà che quella convenzionale non contiene geni per resistenze ad antibiotici, ma la cosa non è così semplice, perchè la mutagenesi a cui è stata sottoposta la patata “convenzionale” cambia la sequenza e la funzione di moltissimi geni ed è plausibile immaginare che un gene (ad esempio una acetilasi o una kinasi) possa trasformarsi in un gene capace di conferire resistenza ad antibiotici.

Le prime vittime delle patate a noi note risalgono al 1925. Le vittime più recenti (i fatti) sovrabbondano nei giornali di questi giorni.