Le malattie neurodegenerative sono delle patologie fortemente invalidanti. Ne esistono di differenti tipi ed hanno un decorso strisciante e inesorabilmente progressivo che viene portato alla luce quando il danno al paziente è già in fase avanzata. Oltre alle famose malattie come il morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson o alla Sclerosi laterale amiotrofica, vi è una malattia spesso poco pubblicizzata chiamata Atassia. Il professor Franco Taroni dell’Istituto Carlo Besta di Milano, in collaborazione con Marco Muzi-Falconi dell’Università Statale di Milano per alcune parti dello studio, ha pubblicato sulle pagine di Nature Genetics una ricerca di fondamentale importanza nella cura di questa malattia. Ecco le risposte che ha concesso a ilsussidiario.net.



Professor Taroni, che cos’è l’atassia?

L’atassia è un disturbo del movimento che causa mancanza di coordinazione. Una forma di atassia transitoria tipica è quella dovuta all’alcool. Esso causa tossicità a livello cerebellare provocando la scarsa coordinazione motoria. I pazienti con atassia presentano caratteristiche del tutto simili a persone con sindrome alcoolica anche se, dal punto di vista mentale, rimangono lucide a differenza di chi è sotto l’effetto di alcool. Essa è una malattia molto invalidante soprattutto dal punto di vista sociale. Gli ammalati spesso sono percepiti dalla società come delle persone con dipendenze da droghe. Ci sono stati alcuni casi in cui i malati sono stati allontanati da locali pubblici perché erroneamente scambiati per ubriachi. La malattia è di tipo degenerativo e tende con il passare del tempo ad aggravarsi sino a portare il malato alla sedia a rotelle in quanto incapace di rimanere in piedi.



Esistono diverse forme di atassia?

Si, il panorama delle atassie è variegato. Si possono distinguere sia per le cause sia per il quadro clinico. In generale esistono delle forme di atassia acquisite o delle forme di tipo genetico. All’interno delle forme di tipo genetico possiamo discriminare delle forme dominanti, ovvero trasmissibili di generazione in generazione, o delle forme recessive in cui la trasmissione ai figli è un evento piuttosto raro. Una delle forme più gravi è l’atassia di Friedreich, diffusa soprattutto nell’area mediterranea. Noi in particolare studiamo l’atassia SCA28 che ha un’ereditarietà di tipo dominante.



Esiste un gene coinvolto in questa malattia? Se si, qual è il suo ruolo?

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 Per quanto riguarda la nostra forma di atassia, nel 2006 abbiamo localizzato una zona dove presumevamo si potesse trovare il gene responsabile della malattia. Analizzando sempre più approfonditamente questa zona, posta sul cromosoma 18, abbiamo isolato il gene AFG3L2 che risulta essere coinvolto nella malattia. Questo è un gene particolare perché lavora in coppia con un altro gene, quello della paraplegina, che se mutato causa una malattia simile.


Attraverso quale meccanismo si genera la malattia?

Il gene AFG3L2 produce una proteina in grado di regolare le attività che avvengono nei mitocondri. Questi ultimi sono responsabili della produzione di energia e della respirazione all’interno della cellula. AFG3L2 è in grado mantenere il corretto funzionamento delle proteine all’interno dei mitocondri. Inoltre, le proteine anomale, vengono rimosse grazie a AFG3L2.

Cosa avete dimostrato nel vostro lavoro?

Il nostro lavoro ha individuato quelle mutazioni che, colpendo il gene AFG3L2, causano la malattia. Per fare ciò abbiamo utilizzato un modello molto semplice, il lievito. Abbiamo privato questo organismo delle proteine che servono al corretto funzionamento del mitocondrio, ottenendo un lievito incapace di respirare. Inserendo il gene AFG3L2 umano normale il lievito riprendeva a respirare. Inserendo invece il gene AFG3L2 mutato, proveniente dai pazienti con la malattia, il lievito non era più in grado di respirare e accumulava quelle proteine anomale che solitamente AFG3L2 eliminava.

Che legame c’è tra il difetto di funzionamento e la malattia?

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I pazienti con la mutazione spesso non hanno sintomi sino ad un età variabile tra i 20 ed i 40 anni. La malattia però c’è sin dall’inizio della loro vita. I mitocondri, se non funzionano correttamente, portano all’accumulo di sostanze tossiche come i radicali liberi dell’ossigeno. L’accumulo, arrivato ad una soglia limite, scatena i sintomi della malattia. Le cellule che vengono colpite sono le cellule del Purkinje, localizzate nel cervelletto e dotate di lunghi prolungamenti. Il danneggiamento di queste fibre porta a quei sintomi che ho prima citato.

Esistono delle applicazioni terapeutiche dovute al vostro studio?

Sicuramente la nostra scoperta ha delle implicazioni importanti nella pratica. Una di queste riguarda il campo della diagnostica. Spesso i pazienti con questa sindrome passano diversi anni prima che vi sia una diagnosi certa. La scoperta della mutazione è quindi utile in senso diagnostico. Dal punto di vista terapeutico non c’è una terapia immediata. Questo però non deve scoraggiare perché il nostro studio ha portato alla scoperta che la mutazione di questo gene può inserire la malattia nelle patologie mitocondriali, ovvero difetti che portano all’accumulo di sostanze tossiche. Anche l’atassia di Friedreich presenta difetti a livello mitocondriale. Sapere che l’atassia SCA28 è correlata, consente a chi ne è affetto di utilizzare delle cure simili alla più famosa atassia di Friedreich. Il futuro di queste malattie, come in generale quelle degenerative, passerà da un approccio multiplo. Non dovremo aspettarci di trovare la singola molecola in grado di curare una malattia ma, scoprendo la correlazione tra diverse patologie, poter sfruttare meglio le cure esistenti.

Per concludere, quali sono i passi futuri della vostra ricerca sulla SCA28?

Nei prossimi mesi vogliamo studiare l’effetto della somministrazione di sostanze neuroprotettive. Questo avverrà in un modello animale con un sistema nervoso relativamente semplice, il verme chiamato Caenorhabditis elegans, opportunamente modificato in modo da contenere il gene AFG3L2 mutato.