Un’analogia frequentemente ripetuta assimila l’esplorazione dello spazio alle epoche delle grandi esplorazioni, le epopee della scoperta delle Indie, delle Americhe, delle isole dei mari del Sud. Come un moderno Cristoforo Colombo, Gagarin ci ha aperto la via verso terre benedette da cui abbiamo portato tesori, fiori, frutti, su cui abbiamo costruito capanne prima, poi fortini e infine metropoli. Ma se tutte le analogie sono pericolose, questa lo è particolarmente perché ignora un fattore fondamentale: contrariamente alle coste del Madagascar o del Maryland, lo spazio è mostruosamente inospitale.



Non c’è nulla che possa permettere alla vita di sostenersi: manca l’aria, l’acqua, il cibo, le escursioni termiche sono estreme, nelle astronavi manca la gravità, il flusso di raggi cosmici costituisce un danno sicuro alla salute, eccetera. Esiste qualcosa di simile sulla Terra? Ovviamente no, ma ci possiamo avvicinare se consideriamo all’Antartide. Il continente antartico è sufficientemente ostile da permettere un legittimo paragone con lo spazio .



Che ne è dell’Antartide? Venne “intuito” da Cook nel 1772. Il primo vero avvistamento da parte delle spedizioni di Smith e Bransfield avvenne quasi 50 anni più tardi. Segue un’epoca di esplorazione che culmina nel 1911 quando Amundsen raggiunge il Polo Sud. La storia più recente vede un intreccio di politica e ricerca scientifica. La mappa politica dell’Antartide è piena di linee meridiane centrate sul polo che demarcano settori rivendicati da varie nazioni, dall’Australia alla Norvegia.

Il Cile, che raggiunge con la sua mainland le latitudini più australi avrebbe forse qualche titolo in più per rivendicare il Polo. Ma se si adottasse lo stesso criterio per la Luna sarebbe allora l’Ecuador ad avanzare pretese, dato che il punto più lontano dal centro della terra si trova in Ecuador (la vetta del Chimborazo). Nel dubbio, notiamo che al Polo Sud si trova una grande base americana.



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Sono curiosità da settimana enigmistica. Più interessante notare che la stessa carta mostra decine di basi costruite dalle varie nazioni. Qualcuna abitata in permanenza, qualcuna sporadicamente, la maggior parte probabilmente abbandonate. In generale hanno, almeno ufficialmente, scopo di ricerca scientifica (anche per via di trattati internazionali): ricerca di vario tipo, dalla geofisica, alla geologica, dalla formazione del sistema solare tramite lo studio dei meteoriti alla cosmologia.

Queste ricerche hanno anche portato a brillanti risultati, vedi l’esperimento Boomerang, in cui l’Italia ha giocato un ruolo fondamentale. Esiste poi un marginale turismo di elite: pagando il giusto si può mettere piede in Antartide al termine di un estenuante volo cargo dalla Terra del Fuoco.

Tutto qua. Questo è l’Antartide, un mondo lontano, inospitale, sicuramente affascinante. Nessuno si sogna migrazioni di massa. Anzi, la tendenza più recente è verso la conservazione integrale: chi è socialmente evoluto e cosciente dei problemi dell’ambiente non va a ficcare il naso in Antartide. Perché dovrebbe essere diverso per lo spazio, che ha costi enormemente più grandi e condizioni enormemente più inospitali? Infatti non c’è differenza. Lo spazio è e resterà un luogo per pochi.

Impostare i programmi spaziali su una prospettiva utopica è dannoso e le incertezze della Nasa lo dimostrano. Anche se altre nazioni svilupperanno capacità di lancio per motivi di prestigio e per interesse militare, una presenza umana semi-permanente avrà senso solo se strettamente legata a quei tipi di ricerca scientifica resi possibili dalla peculiarità dell’ambiente spaziale, e di rilevanza tale da giustificarne i costi.

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Quali sono queste ricerche? Dobbiamo guardare alle due caratteristiche fondamentali dello spazio: mancanza di atmosfera e di gravità effettiva, che rende possibile costruire megastrutture con relativa facilità. L’esperienza della ISS insegna che sistemi modulari possono essere assemblati nello spazio senza troppi problemi, grazie anche alla perizia degli astronauti che in questi anni hanno dimostrato di poter fare cose straordinarie durante le uscite extra-veicolari, vedi ad esempio le spettacolari missioni di servizio al telescopio Hubble.

Potremmo quindi avere bisogno della ISS, o di qualcosa di simile, intesa però come base di assemblaggio di megastrutture robotiche, magari da lanciare verso lo spazio più profondo, piuttosto che come macrostruttura essa stessa, costosissimo laboratorio multinazionale per far crescere fagioli in assenza di gravità. Cosa costruire ? La prima cosa che viene in mente sono telescopi giganti, migliaia di volte più potenti di Hubble. Sono oramai in costruzione progetti faraonici da terra. Realizzarne di simili nello spazio, al di fuori dell’atmosfera , sarebbe fattibile con le tecnologie attuali e porterebbe un incomparabile aumento di conoscenza su aspetti fondamentali della conoscenza: come è nato e si è strutturato l’universo? Esistono pianeti simili al nostro?

Quindi, abbandonare l’utopia della colonizzazione e partire da quello che c’è: decenni di esperienza di volo umano , uno straordinario corpo di astronauti in grado di assemblare nello spazio strutture inconcepibili a terra, una comunità scientifica vivace: questa è davvero l’epoca delle grandi scoperte. Alcuni mesi fa a un incontro di Crossroads a Houston il comandante Mark Kelly, parlando dei suoi cinque voli sullo Shuttle, disse simpaticamente «io sono solo l’autista del bus». Mettere questa esperienza di navigazione al servizio della scienza, dei nuovi “scopritori”, può risolvere il dilemma della Nasa e riaccendere il nostro entusiasmo.