Si parla tanto dei cambiamenti climatici a livello globale: ma se volessimo trasferire il discorso su scala nazionale e se volessimo farlo in modo documentato, basato sui dati e non su un semplice copia e incolla dei proclami dei guru ambientalisti, troveremmo le fonti adeguate? Da oggi sì; almeno così sembra ad un primo esame del lavoro svolto da due dei più affermati studiosi del problema come Sergio Castellari e Vincenzo Artale: il primo è un fisico dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e del Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC); il secondo anche lui fisico, capo dell’unità di modellistica oceanografica dell’Enea.



La loro opera documentale è contenuta in un corposo volume appena pubblicato: I cambiamenti climatici in Italia: evidenze, vulnerabilità e impatti. Un’opera che, come ci hanno detto gli autori, si distingue per «l’approccio che, per la prima volta nel nostro Paese, ha coinvolto i massimi esperti della comunità scientifica italiana che svolgono ricerche sui diversi aspetti del clima. La realizzazione del libro è frutto di un metodo di controllo dei contenuti come si fa generalmente negli articoli scientifici sottoposti al “peer review”, che ha richiesto oltre due anni di lavoro e testimonianza l’esistenza in Italia di una comunità di eccellenze scientifiche che da anni lavorano sui temi connessi ai cambiamenti climatici, contribuiscono a progetti internazionali».



L’iniziativa editoriale, peraltro, è nata nell’ambito del CMCC, un consorzio di enti di ricerca, università e fondazioni, che ha come finalità lo sviluppo e la realizzazione di attività di ricerca nel campo della variabilità climatica naturale e antropogenica, le sue cause e le sue conseguenze tramite la stima degli impatti su vari sistemi e settori, con una speciale enfasi sull’area mediterranea.

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E proprio l’ambiente mediterraneo, stando alla recente letteratura scientifica, risulta essere una delle aree più sensibili ai cambiamenti climatici in corso, con un riscaldamento nell’ultimo secolo maggiore rispetto alla media globale (specialmente in estate) e una diminuzione della precipitazione media. Da notare che nell’indice del prossimo rapporto di valutazione dell’Ipcc, che uscirà tra il 2013 e il 2014, il Mediterraneo è quello che nel linguaggio scientifico viene definito un “Hot Spot”, cioè un’area chiave di sensitività ai cambiamenti climatici.

«Le proiezioni effettuate mediante modelli climatici evidenziano per il Mediterraneo, e in particolare per l’Italia, un possibile aumento delle onde di calore, una più marcata diminuzione della precipitazione media, un incremento del rischio di subire eventi naturali drammatici, come alluvioni o periodi siccitosi, e una perdita di biodiversità terrestre e marina. Ciò non potrà che ripercuotersi pesantemente sullo sviluppo e sull’economia del Paese, comportando gravi danni economici in particolari settori produttivi, come quello dell’energia, del trasporto, dell’agricoltura e del turismo».

Una posizione catastrofista? I nostri due interlocutori tendono a smarcarsi dalle strettoie di un dibattito sul clima inasprito dalla contrapposizione tra i due schieramenti dei “negazionisti” e dei “catastrofisti”. «Le due posizioni, secondo noi, rappresentano entrambe considerazioni molto distanti dall’approccio scientifico verso i cambiamenti climatici. Fare ricerca scientifica vuol dire porre domande e trovare risultati che presentano sempre delle incertezze; queste ultime sono all’origine di nuove domande che alimentano la ricerca verso nuovi risultati e altre incertezze. È così, detto in maniera molto semplificata, che si sviluppa il progresso scientifico».

 

 

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«Come tutte le scienze, la scienza del clima è fatta da risultati consolidati e risultati non consolidati che aspettano di essere confermati. I negazionisti cancellano completamente i risultati consolidati e si focalizzano solamente sui risultati non consolidati; i catastrofisti, al contrario, ripongono attenzione solo sui risultati consolidati ma nella loro lettura cancellano ogni incertezza quindi danno per scontato ogni effetto acquisito. Una trattazione scientifica di temi climatici non può affidarsi a nessuno di questi modi di operare perché la scienza non può fare a meno di considerare e gestire l’incertezza».

  

Un’incertezza che può essere ridotta estensivamente rafforzando il sistema di monitoraggio climatico con l’aumento del numero delle variabili interessate (non solo fisiche, ma anche ecologiche), potenziando la qualità e risoluzione spaziale delle simulazioni numeriche sia su scala globale che su scala regionale/locale e finalizzando queste simulazioni agli studi degli impatti a scala locale. In prospettiva, dati e le analisi raccolte da Castellari e Artale possono senz’altro «contribuire – come sottolinea nella prefazione Corrado Clini, Direttore Generale per la Ricerca Ambientale e lo Sviluppo del Ministero dell’Ambiente – a creare una solida base tecnico-scientifica per una futura elaborazione di una strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici per il nostro Paese». Non resta ora che attendere il varo di questa strategia.

 

(a cura di Mario Gargantini)
 

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