Più di 20.000 anni fa i ghiacciai ricoprivano circa il 32% delle terre emerse. Attualmente occupano il 10% della superficie terrestre e costituiscono il più grande serbatoio d’acqua dolce sulla Terra. Negli ultimi decenni, con lo sviluppo delle teorie sul riscaldamento globale, è stato sollevato il problema che i ghiacciai del nostro Pianeta potessero essere a rischio di estinzione. Di questo e di altri problemi correlati allo studio dei ghiacciai si è discusso lo scorso 25 e 26 marzo all’Alpine Glaciology Meeting (AGM) di Milano. Un congresso che ha visto la partecipazione dei maggiori esperti in questo campo; come il professor Georg Kaser, del Tropical Glaciology Group di Innsbruk, che abbiamo intervistato Ecco le risposte che ha dato a ilsussidiario.net
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Professor Kaser, i ghiacciai possono essere considerati degli indicatori del cambiamento climatico?

Sicuramente sì, i ghiacciai sono un indicatore diretto dei cambiamenti climatici in senso generale. I ghiacciai risentono infatti di tutta una serie cambiamenti indotti dalle diverse condizioni climatiche. La loro massa è in grado di modificarsi di continuo: pensiamo ad esempio alle precipitazioni che la fanno crescere in particolari periodi dell’anno. Monitorando la massa del ghiacciaio abbiamo dunque un indicazione del cambiamento del clima.



Qual è la situazione attuale? C’è da temere per una loro progressiva scomparsa?

Ci sono diversi situazioni di rischio per un ghiacciaio. Quella che più si teme è ovviamente il ritiro dei ghiacciai. Già a partire dal 1800 sono scomparsi i ghiacciai di modeste dimensioni. Attualmente sono proprio questo tipo di ghiacciai ad essere ancora maggiormente in pericolo. Per la situazione alpina il regresso ha investito molti apparati glaciali con ritiri delle lingue da qualche chilometro a qualche centinaia di metri di lunghezza.

Quali sono le conseguenze più preoccupanti che il ritiro di un ghiacciaio può portare?



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Le conseguenze sono molte e variegate. Dipende però dal punto di vista dell’analisi. Se consideriamo le conseguenze che può portare a livello globale il ritiro dei ghiacci, il principale effetto di questa situazione sarà inesorabilmente l’aumento delle acque dei mari. Questo è dovuto in gran parte dallo scioglimento dei ghiacciai che porta un innalzamento medio annuo intorno ai 3 millimetri. Se consideriamo invece l’effetto a livello più locale, possiamo parlare di cambiamenti nella disponibilità d’acqua. I ghiacciai possono essere considerati dei regolatori stagionali di questa disponibilità, anche se a volte ciò è sovrastimato. Ciò perché il contributo di queste enormi masse è significativo soltanto quando ci sono condizioni atmosferiche calde e asciutte; quindi in situazioni critiche come quella verificatasi sulle Alpi nel 2003, dove per diversi mesi non si ebbero precipitazioni. I ghiacciai in questo caso divennero l’unica fonte di acqua in grado di alimentare i fiumi. Se invece consideriamo la zona dell’Himalaya o le zone delle regioni monsoniche, questo contributo è molto piccolo. Ciò perché durante l’inverno non si hanno scioglimenti, viceversa d’estate, quando i ghiacciai si sciolgono, abbiamo già delle abbondanti precipitazioni che contribuiscono enormemente alla disponibilità idrica.

Esistono delle misure da mettere in atto per limitare il fenomeno?

Purtroppo si può fare ben poco a riguardo. Anche piccoli cambiamenti climatici sono fin troppo grandi da modificare. Non basterebbero nemmeno anni e anni per ripristinare la situazione anche se fermassimo in questo momento tutte le emissioni gassose inquinanti. Localmente è possibile agire sull’effetto albedo – cioè sulla luminosità della superficie terrestre – mettendo artificialmente delle masse nevose; ma che senso avrebbe? Servirebbero grandi quantità di energia e d’acqua. Tecnicamente è possibile far crescere un ghiacciaio, ma potrebbe non avere alcun senso. Se il problema fosse solo quello di una carenza idrica, si dovrebbe pensare ad altre soluzioni: come quelle che prevedono differenti metodi di accumulo delle acque.

(A cura di Daniele Banfi)

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