Quarant’anni fa veniva lanciata dai movimenti ambientalisti l’idea della Giornata della Terra per indirizzare l’opinione pubblica sulle gravi condizioni in cui versa il nostro Pianeta dal punto di vista delle risorse naturali e delle condizioni dell’ambiente. La Giornata del 22 aprile è diventata un appuntamento fisso e nel frattempo molto è cambiato sullo scenario ambientale globale. È emerso prepotentemente il problema dei cambiamenti climatici, col suo carico di polemiche, di difficili decisioni politiche, di aspettative non appagate.
Anche questa edizione dell’Earth Day avrà come tema centrale il clima e sarà dominata dallo spettro del global warming e dalle controversie riaccese durante la Conferenza sul Clima di Copenhagen. L’opinione pubblica sarà comunque polarizzata sui soliti cliché, che campeggeranno anche nell’evento culminante del “Rally per il Clima” il 25 aprile a Washington: lì presteranno la loro voce in difesa della Terra “surriscaldata” star dello spettacolo come il cantante Sting e lì verrà presentata dall’Earth Day Network una petizione al Congresso Usa per un’azione decisa per il contenimento delle emissioni di gas serra e per la promozione di una legislazione mondiale sul clima. Vale quindi la pena soffermarsi sul tema del GW e sulle più recenti ipotesi circa le sue cause.
Per capire esattamente cosa significhi global warming (GW), bisogna innanzitutto comprendere come si comporta il sistema atmosfera. La temperatura è sicuramente una delle variabili più importanti per verificare come tale sistema stia cambiando. E GW è un’espressione, spesso abusata, che indica l’andamento di questa variabile lungo i chilometri prossimi alla superficie terrestre. Questo, dunque, il primo passo: accertarsi di tale aumento della temperatura. Esso appare inequivocabile ed è ormai documentato da diversi strumenti di osservazione. Fin dai primi anni del ‘900 la temperatura terrestre mostra un trend positivo che, a partire dagli anni ’80, è diventato ancora più accentuato.
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L’aumento, su scala globale e nell’arco del ‘900, è misurato in circa 1 grado Celsius. Il dato in sé può voler dire poco, ma fissando la temperatura terrestre attorno ai 14 °C, esso rappresenta più del 7% del totale. Considerando poi il tasso di crescita degli ultimi 30 anni – circa 0,17 decimi di grado a decennio – si arriva a una proiezione per fine secolo di quasi 2 gradi di aumento, ben più del 10% della temperatura media terrestre. Si tratta quindi di numeri importanti, da monitorare con attenzione. Spostare l’equilibrio termico terrestre di quasi il 20% in due secoli è, in termini globali, una quantità enorme.
Il secondo passo, ancora più decisivo ma molto più complicato, è nel capire l’origine di tale aumento. Anzitutto, si può fare affidamento su un periodo temporale piuttosto breve. Rilevazioni accurate di temperatura, globalmente, possono spingersi solo fino alla metà degli anni 50, e, usando tecniche molto sofisticate di ri-analisi, si può arrivare fino a inizio secolo scorso. Cento anni, per un pianeta come la Terra, sono come qualche minuto della nostra vita. E l’attuale riscaldamento può essere paragonato a una brutta influenza, nel momento in cui sale la temperatura corporea. Nonostante ciò, quando siamo a letto con 39 di febbre, sappiamo che presto essa scenderà, perché conosciamo la causa e dunque il metodo di cura. Per la Terra, invece, vi sono ipotesi, più o meno verificate, su cui poi si basa la prognosi.
La più importante riguarda il riscaldamento da CO2. La chiave è trovare il fattore, o la combinazione di fattori, che forzino l’atmosfera a un equilibrio termico maggiore. La CO2 agisce, per sua struttura chimica, come fattore riscaldante e, soprattutto, ha un tasso di crescita costante per tutto il secolo scorso. Ciò la rende una probabile causa della febbre che attanaglia il nostro pianeta da decenni. Tale prospettiva è in sé ancora più grave se si considera che l’aumento di CO2 è possibilmente imputabile all’uomo, che dall’era industriale sta ri-immettendo pesanti quantità di anidride carbonica in atmosfera, quantità che erano state stoccate nella crosta terrestre per decine e centinaia di secoli.
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La seconda è più una congettura, e non nega la precedente, piuttosto può concorrere, assieme ad essa, al riscaldamento globale. Tale ipotesi ha nel Sole il principale attore. Anch’esso, come la CO2, agisce innanzitutto nel bilancio radiativo dell’atmosfera, e permette tutt’oggi la vita sulla Terra. E anch’esso esibisce un trend al rialzo della cosiddetta irradianza, cioè il flusso di radiazione incidente sulla superficie terrestre. Tale andamento è effettivamente riscontrabile, almeno fino agli anni ’80. Da allora esso si mantiene stabile, ancora su valori piuttosto elevati e, dalla seconda metà degli anni ’90, è visibile una sua inversione.
In particolare negli ultimi tre anni, l’intensificarsi di tale calo sta richiamando l’attenzione dei fisici solari, che mai fino ad ora avevano potuto registrare un’attività tanto bassa. Solo durante la fine del XVIII secolo si era osservata un’anomalia così accentuata nel ciclo del solare che varia nella sua intensità con una frequenza di circa 11 anni. In quel periodo si registrarono due cicli molto deboli (minimo di Dalton), che furono seguiti, successivamente, da cicli sempre più intensi, caratterizzati da un minimo secondario a cavallo dei secoli XIX e XX, fino ad arrivare al crescendo della fine del XX secolo.
V’è da notare che, in termini percentuali, la suddetta variazione appare piuttosto bassa se confrontata con il suo valore assoluto (stiamo parlando di poche unità su un totale di 1365 W/m2), e questo la pone in secondo piano rispetto alla forzante chimica (CO2). Tuttavia, è quantomeno interessante far notare che stiamo attraversando una fase fortemente anomala del comportamento solare.
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Ciò detto, al momento non si hanno informazioni sufficienti per affermare se tali anomalie siano solo un fuoco di paglia o se invece siano l’antipasto di un più grande evento, quale il deep solar minimum, ossia una fase prolungata di attività solare molto bassa. In tal caso sarà estremamente interessante osservarne le conseguenze a livello climatico, che sicuramente vi sarebbero, ma di cui è estremamente difficile stimare la magnitudo. Si parla dunque di 10, 20 anni di attesa, almeno, per avere un quadro più chiaro della situazione.
È del tutto evidente, inoltre, che il sistema terrestre non si comporta in modo lineare. A un impulso ricevuto dall’esterno (come l’aumento di CO2 o la diminuzione dell’irradianza) non corrisponde una risposta lineare interna al sistema. Esso agisce con proprie contromisure (feedback negativi) per attutire il colpo, e, al tempo stesso, si possono verificare pericolose oscillazioni (feedback positivi) che invece lo allontanano dal suo equilibrio. Questo è infatti il rischio che il nostro pianeta sta correndo, che la febbre stagionale di cui sopra diventi un’infezione cronica (e incurabile). Ma qui entreremmo in un nuovo capitolo (molto più complicato) che meriterebbe ulteriori approfondimenti.