Il 24 aprile di vent’anni fa, portato da uno Shuttle Discovery, entrava in orbita a 575 km dalla superficie della Terra il Telescopio Spaziale Hubble (HST), con uno specchio di quasi due metri e mezzo di diametro e una serie di apparecchiature e strumenti da farne un vero e proprio osservatorio astronomico orbitante, frutto della collaborazione tra la NASA e la agenzia spaziale europea ESA. Nel corso di questi due decenni Hubble ha avuto una vita movimentate ed eccitante: ha subito guasti e riparazioni, ha rischiato di interrompere la missione e poi l’ha vista prolungarsi oltre il previsto prima di far posto all’erede, il JWST che inizierà a lavorare nel 2013.
Ma soprattutto ha riversato a Terra una gran quantità di spettacolari immagini, spalancando allo sguardo stupito non solo degli scienziati le meraviglie di un universo che non smette di sorprendere e che apre sempre nuovi e profondi interrogativi. Tra i protagonisti dell’avventura scientifica di Hubble ci sono stati e ci sono molti italiani; tra questi c’è l’astrofisico Piero Benvenuti, che dal 1984 al 2003 è stato responsabile scientifico europeo del progetto per conto dell’ESA e ha diretto lo Space Telescope European Coordinating Facility presso l’European Southern Observatory (ESO) a Monaco di Baviera. L’abbiamo incontrato.
Questi 20 anni di Hubble sono stati più una storia di successi o di preoccupazioni?
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Direi senz’altro una storia di entusiasmanti successi, anche se – come dovremo ricordare ai noi stessi e alle generazioni più giovani – gli inizi furono drammatici. A pochi mesi dal lancio, l’inattesa scoperta dell’errore nella lavorazione dello specchio primario, vero cuore del telescopio, sembrava decretare il fallimento totale del progetto.
Fortunatamente la possibilità – prevista sin dall’inizio – di essere rivisitato regolarmente dagli astronauti e l’ingegnosità degli scienziati e dei tecnici permise, nel dicembre 1993, di correggere efficacemente il difetto e da allora le immagini e i risultati scientifici di Hubble sono stati un susseguirsi continuo di successi.
Quali sono i momenti che ricorda con maggior entusiasmo?
Quelli vissuti in diretta osservando gli astronauti armeggiare attorno ad Hubble in orbita, cercando di risolvere la miriade di piccoli intoppi che le operazioni di manutenzione, svolte in ambiente spaziale, inevitabilmente incontrano. Ricordo, per esempio, come i pannelli solari originali, costruiti in Europa, montati su un sottilissimo supporto di plastica e lanciati arrotolati, una volta in orbita non volessero aprirsi correttamente.
L’intervento degli astronauti fu determinante e risolse rapidamente risolto il problema, ma la tensione del momento era palpabile. Ricordo poi la prima immagine ad alta risoluzione ottenuta da Hubble dopo la riparazione del 1993: finalmente toccavamo con mano le reali potenzialità del telescopio e si apriva una nuova era per l’Astronomia osservativa.
Durante questi 20 anni di osservazioni di Hubble l’astrofisica ha fatto notevoli passi avanti: quanto ha contribuito l’avere a disposizione un osservatorio così speciale, con quella strumentazione e quelle potenzialità?
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La nostra conoscenza del Cosmo ha fatto veramente balzi da gigante nell’ultimo ventennio, progressi che non sarebbero stati possibili né immaginabili senza la possibilità di osservare l’Universo dallo spazio, senza cioè il filtro dell’atmosfera terrestre che impedisce o disturba la penetrazione fino a Terra della radiazione elettromagnetica: i segnali attraverso i quali gli oggetti celesti ci manifestano la loro presenza e la loro natura.
Nella coorte di strumenti astronomici spaziali, Hubble si colloca come la chiave di volta, sia perché con la sua longevità, più volte ringiovanita, ha rappresentato il punto di riferimento costante di tutta l’Astrofisica e la Cosmologia del ventennio, sia perché con la sua strumentazione e capacità, in termini di risoluzione spaziale e spettrale, ha permesso di osservare e studiare in dettaglio le zone più interne di oggetti complessi come le galassie e di raggiungere distanze e stadi di evoluzione dell’Universo prima inaccessibili.
In quali ambiti della ricerca astrofisica e cosmologica il contributo di Hubble è stato più determinante?
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La risposta a questa domanda rischia di essere troppo generalista o di trascurare ricerche importanti. Con questa doverosa premessa, la mia scelta va prima di tutto alla Cosmologia: senza Hubble non avremmo potuto verificare la presenza (forse la “onnipresenza”) di un buco nero massivo al centro di ogni galassia e il ruolo determinante che esso può giocare nella formazione delle galassie stesse; non sapremmo che l’Universo sta accelerando la sua espansione per la presenza di una “entità” ancora indefinita chiamata Energia Oscura; non avremmo avuto la possibilità di localizzare e determinare la consistenza della Materia Oscura, sicuramente presente nelle galassie; non avremmo potuto ammirare, con i nostri occhi, lo spazio che si “curva” attorno agli ammassi di galassie, gigantesche lenti gravitazionali che ci mostrano delicate immagini di filamenti di galassie lontane, trasformate in Fate Morgane.
Non dimentichiamo comunque l’Astrofisica: la sensibilità e la risoluzione spaziale di Hubble ci permette di ricostruire la storia dell’evoluzione stellare sia nella nostra galassia che nelle galassie vicine ed è insostituibile per cercare di capire ambienti magnetoidrodinamici complessi, come i resti di supernova e i getti relativistici.
Con le sue spettacolari immagini Hubble ha dato un notevole contributo, oltre che sul piano strettamente scientifico, anche su quello della comunicazione al vasto pubblico, diffondendo un’idea di scienza interessante e attraente. Quanto conta nella scienza, e nell’astrofisica in particolare, l’attrattiva per il bello, l’esperienza della meraviglia e la consapevolezza di essere davanti a qualcosa di infinitamente grande?
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Credo che il contributo di Hubble alla storia del pensiero umano si misurerà non solo dai risultati strettamente scientifici, ma soprattutto per aver portato letteralmente nelle nostre case la struggente bellezza del Cosmo. In generale, gli strumenti usati oggi dai fisici e dagli astrofisici producono dati incomprensibili all’uomo comune: sono essenzialmente “dati numerici”, “numeri” che acquistano significato all’interno di complesse formule matematiche, apprezzabili nella loro “bellezza” ed importanza solo dagli addetti ai lavori.
L’osservazione della Natura è ormai mediata da sofisticate strumentazioni che non parlano più direttamente ai nostri sensi, ma solo al pensiero, attraverso l’interfaccia della razionalità matematica. Hubble invece è riuscito a coniugare felicemente l’unicità dei suoi “dati” con l’immediata fruibilità, da parte di tutti, attraverso il nostro organo sensoriale più prezioso e diretto, la vista. Nessuno, credo, riesce a rimanere indifferente alla vista di una qualsiasi delle tante immagini prodotte da Hubble: queste vere gemme erano lì presenti da miliardi di anni in attesa che un insignificante essere cosciente, seguendo con passione la ricerca della verità, scovasse il modo, anche tecnologico, di scoprirle e offrirle alla contemplazione di tutti. A questo punto la scienza e la tecnologia si devono fermare e l’uomo, nella totalità della sua razionalità e sensibilità, deve chiedere a se stesso perché quelle immagini gli appaiono “belle”.
(a cura di Mario Gargantini)