Allarme vulcani. Secondo Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile, quello di Ischia avrebbe “potenzialmente il colpo in canna peggiore di tutti”. IlSussidiario.net ne ha discusso con Domenico Patanè dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologica di Catania. “L’Italia è paese a estremo rischio sismico e vulcanico, ma mancano le risorse”.
Ha detto Bertolaso che bisogna essere pronti a possibili eruzioni di vulcani quali il Vesuvio e Ischia perché la loro attività è molto in ritardo. Esiste dunque una tempistica, rispetto all’attività eruttiva di un vulcano?
Negli ultimi anni la vulcanologia ha fatto passi da gigante. Il denso monitoraggio oggi esistente su vulcani come l’Etna, il Vesuvio o i Campi Flegrei permette di rilevare anche i più deboli segnali che possano far pensare a un’eruzione. Dell’Etna, ad esempio, da qualche decennio siamo in grado di prevedere la possibile eruzione anche se non di stabilire il momento esatto in cui avverrà. Siamo però in grado di stabilire la variazione di stato di un vulcano e quindi capire se è prossima un’eruzione.
La zona campana è particolarmente a rischio…
Sì, è la zona d’Italia a più alto rischio. Oltre al Vesuvio e a Ischia bisogna ricordare i Campi Flegrei (con questo nome si indica l’ampia zona vulcanica posta a Nord-Ovest della città di Napoli). L’ultima eruzione a Ischia c’è stata nel 1300, quella dei campi Flegrei risale al 1588, con notevoli terremoti e attività intense. Il Vesuvio, la cui ultima eruzione è del 1944, è un vulcano attivo per cui c’è da aspettarsi una prossima eruzione. Il rischio connesso a tutta questa aerea è l’alto livello di insediamento abitativo, per cui la situazione è estremamente complessa e pericolosa.
Per cui vanno messe in atto strategie preventive…
Certo, teniamo però conto che le eruzioni importanti sono precedute da segnali premonitori altrettanto importanti, come terremoti di forte energia, variazioni dei parametri da noi monitorati di un certo rilievo. Le eruzioni come dicevamo prima possono essere stabilite in anticipo. Il rischio è quello tra vulnerabilità e pericolosità essendo queste aree densamente popolate.
Nel mar Tirreno si trovano ben tredici vulcani sottomarini, tra cui quello più grande d’Europa, il Marsili, a 150chilometri dalle coste campane…
I vulcani sommersi sono ovviamente più difficili da monitorare visto le profondità a cui si trovano. In questi ultimi anni abbiamo però fatto sperimentazioni e monitoraggi anche su di essi, soprattutto il Marsili. Usiamo sensori sottomarini preparati appositamente, sono poi stati fatti esperimenti a livello internazionale di monitoraggio continuo. È evidente che monitorare un vulcano sommerso richiede somme di denaro molto più ingenti di quanto richiede un vulcano emerso.
In caso di eruzione di un vulcano sommerso ci si deve attendere fenomeni come lo tsunami?
Dipende dall’intensità e dalla potenza dell’eruzione. Se l’attività eruttiva è tranquilla allora no, però se ci dovesse essere un’eruzione vulcanica molto forte si potrebbe verificarsi uno tsunami.
L’Italia è un paese a elevato rischio sismico e vulcanico, la scienza ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni, ma le risorse che la nostra politica destina sono irrisorie anche rispetto agli altri paesi europei. Ci vorrebbe un impegno economico più serio.