Nel passato, e in alcune zone del mondo ancora attualmente, l’epilessia era considerata il “male sacro”. Secondo la visione popolare una persona affetta da questa malattia era considerata in balia di qualche potenza occulta in grado di controllarne il cervello. Già nell’antichità, più di 3000 anni fa, i sintomi dell’epilessia furono descritti nei primi rudimentali manuali medici babilonesi. Oggi con il progredire della ricerca medico-scientifica questa concezione di malattia è stata ampiamente superata.



Secondo le ultime statistiche nel mondo ben 43 milioni di persone soffrono di questa malattia, 500 mila solo in Italia. Dal punto di vista tecnico l’epilessia è definita come una sindrome caratterizzata dalla ripetizione di crisi epilettiche. Crisi dovute ad una scarica elettrica anomala, sincronizzata e prolungata da parte delle cellule che compongono il cervello. In altre parole nell’epilessia accade che uno o più gruppi di neuroni siano, per motivi diversi, più eccitabili del normale e quindi tendano ad accendersi improvvisamente tutti insieme scatenando la crisi.



Anche se alcune cause non sono ancora del tutto note, a generare gli attacchi epilettici sembrano concorrere diversi fattori. Accanto a quelli di tipo genetico, dove si è predisposti a questo fenomeno, ci sono cause come disfunzioni metaboliche, traumi cranici, neoplasie ed infiammazioni. Proprio quest’ultima causa è stata oggetto di indagine da parte di un team di ricercatori guidati dalla dottoressa Annamaria Vezzani dell’Istituto Mario Negri di Milano.

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Lo studio, pubblicato dalla rivista Nature Medicine, ha coinvolto le unità dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano e dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, in collaborazione con altre due istituzioni, l’Università Insubria di Varese e l’Academisch Medisch Centrum di Amsterdam.

«Il nostro lavoro – spiega Vezzani – ha dimostrato un nuovo meccanismo che sta alla base dell’origine delle crisi epilettiche». Diversi studi realizzati negli ultimi anni hanno evidenziato come un danno cerebrale (trauma cranico, infezioni batteriche, ictus) o una prima crisi epilettica possano portare alla produzione, da parte delle cellule del cervello, di molecole con proprietà infiammatoria in grado di influenzare la corretta eccitabilità del tessuto.

«La nostra ricerca – continua Vezzani – ha portato alla scoperta di una di queste molecole, chiamata HMGB1, che interagendo con delle strutture chiamate “Tool-like receptors” sembra predisporre alla comparsa e alla ricorrenza di crisi epilettiche». Le strutture “Toll-like receptors” sono dei recettori che vengono espressi dalle cellule del sistema nervoso. Essi sono in grado di riconoscere la molecola HMGB1 ed aumentare l’eccitabilità del tessuto.

 

 

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Lo studio, condotto su un sistema animale modello, ha evidenziato che, bloccando HMGB1 o i “Tool-like receptors”, si ottiene come risultato la diminuzione nel numero di crisi pari al 70%. Viceversa, iniettando nell’animale delle molecole infiammatorie le crisi epilettiche diventano più frequenti. «Lo studio – continua Vezzani – è partito grazie ad un dato fondamentale, ovvero la rilevazione dell’aumento dei livelli di HMGB1 e di “Toll-like receptors” proprio in quei pazienti operati a causa della loro mancata risposta ai farmaci antiepilettici normalmente in uso». Questo dato fondamentale, unito alle nuove conoscenze che ha portato questo studio, apre la strada al futuro sviluppo di nuove terapie antiepilettiche. Terapie basate sull’utilizzo di specifici farmaci antinfiammatori in grado di interferire con HMGB1 o con i “Toll-like receptors”.

I farmaci attualmente in uso, sebbene siano in grado di bloccare il generarsi delle crisi epilettiche, non sembrano però agire su quei meccanismi che stanno all’origine del fenomeno. Inoltre circa il 30% delle persone affette da epilessia risultano essere insensibili a qualsiasi trattamento farmacologico classico.

«Quando in commercio saranno disponibili dei farmaci antinfiammatori in grado di agire sui meccanismi che generano la patologia – conclude Vezzani – allora potremo dire di aver fatto un reale passo avanti rispetto alle terapie attualmente disponibili». La disponibilità di eventuali farmaci è comunque ancora lontana poiché, oltre ai classici studi di tossicità delle eventuali molecole antinfiammatorie, si dovrà risolvere il problema di come veicolare il farmaco nel cervello dell’uomo. Nonostante queste difficoltà lo studio della professoressa Vezzani e del suo team pone una solida base nella comprensione del fenomeno epilessia.

 

(A cura di Daniele Banfi)