Perché il parabrezza dell’auto si appanna? Perché l’olio si spande più rapidamente dell’acqua sul vetro? Questi due semplici fenomeni della vita quotidiana mettono in luce le particolari interazioni che intercorrono tra superficie e liquido: in fisica si descrive questa proprietà con il termine di bagnabilità.



La bagnabilità indica una propensione favorevole della superficie alle interazioni con un determinato liquido ed è direttamente legata al modo in cui il liquido si disporrà sulla superficie. Proviamo a immaginare di ingrandire enormemente una goccia appoggiata su due superfici differenti, una maggiormente bagnabile e una meno. Nel primo caso (per esempio l’olio sul vetro) il liquido incontra una superficie favorevole alla formazione di contatti e la goccia si adagia assumendo una forma semisferica o addirittura distendendosi in una pellicola sottile.



Viceversa, nel caso di una superficie poco bagnabile il liquido tende a minimizzare i contatti, ritraendosi e la goccia assume una forma maggiormente sferica, per esempio causando l’appannarsi di un vetro.

La bagnabilità e più precisamente le interfacce solido-liquido giocano un ruolo fondamentale in moltissimi campi: dal funzionamento di batterie innovative a fenomeni che avvengono nelle celle a combustibile, dai meccanismi di self-assembly ad alcune funzioni biomolecolari.

Fino ad oggi, le tecniche per quantificare questa importante proprietà delle superfici si sono basate sullo studio dell’angolo di contatto formato dalla goccia di liquido con la superficie: un metodo di misura purtroppo fortemente limitato nella risoluzione spaziale, che non permette di investigare le interazioni in gioco a livello atomico o molecolare, tanto meno di evidenziare possibili differenze all’interno della zona di contatto.



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È per questo che il professor Francesco Stellacci, a capo di un gruppo di ricercatori del MIT di Boston in collaborazione col Politecnico di Losanna e con la SISSA di Trieste, ha definito questa scoperta come “qualcosa di impensabile prima d’ora”.

Infatti, i risultati presentati nell’ultimo numero di Nature Nanotechnology dimostrano che è possibile tracciare delle vere e proprie mappe della bagnabilità di una superficie con una risoluzione diecimila volta maggiore a quella finora utilizzata. La nuova tecnica si basa su di un raffinato utilizzo del microscopio a forza atomica (AFM), uno strumento già ampiamente impiegato nella caratterizzazione della struttura delle superfici e nella manipolazione dei materiali su scala nanometrica. L’AFM è, infatti, dotato di una punta molto piccola (5000 volte più piccola di un capello umano) che può andare a “toccare” la superficie e sentirne la “rugosità” a livello atomico. 

 

Nell’esperimento condotto dal gruppo di Stellacci, la bagnabilità è stata misurata immergendo la punta dell’AFM in una soluzione di acqua ultrapura a contatto con la superficie da studiare: facendo compiere piccole oscillazioni alla punta del microscopio atomico, si è osservato come questa sia particolarmente sensibile alle interazioni con lo strato di liquido direttamente a contatto con la superficie. Stimando l’energia dissipata dal moto della punta attraverso lo strato di liquido all’interfaccia, è stato quindi possibile quantificare la bagnabilità di diverse superfici ottenendo valori consistenti con le comuni misure dell’angolo di contatto.

 

Questa scoperta sembra tuttavia avere una seconda importante ricaduta: la particolare sensibilità della punta del microscopio AFM nell’attraversare lo strato di contatto tra liquido e superficie potrebbe essere impiegata per incrementare significativamente (circa 20 volte) la risoluzione dei comuni microscopi AFM. Un risultato, che se confermato, cambierebbe il modo di lavorare coi microscopi a forza atomica.