Dieci milioni di europei l’hanno già provata almeno una volta. Un giro d’affari inimmaginabile. Stiamo parlando della cocaina, la droga che ha dato il triste nome di “città bianca” alla popolosa Milano. Secondo i dati forniti dall’IPSAD (Italian Population Survey on Alcohol and Drugs) il consumo di cocaina riguarda in particolar modo i maschi ed i soggetti di età compresa tra i 15 ed i 34 anni. Un numero di consumatori in costante aumento grazie anche al crollo dei prezzi per la singola dose.



Dal punto di vista chimico la cocaina appartiena alla famiglia degli alcaloidi, come la caffeina e la nicotina. Questo genere di molecole hanno una spiccata capacità di stimolare l’attività del sistema nervoso, pur con le dovute differenze. Normalmente, in seguito a degli stimoli, nel nostro cervello avviene il rilascio di neurotrasmettitori in grado di influenzare l’attività dei neuroni. Uno di questi è la dopamina, una molecola la cui carenza è implicata in una patologia neurodegenerativa importante come il Parkinson.



Questa sostanza viene rilasciata dai neuroni per dare una risposta a segnali naturali di piacere e successivamente viene riassorbita dai neuroni stessi. Evidenze sperimentali sempre più forti indicano che la cocaina agisca proprio su questo meccanismo. Impedendo il riassorbimento essa aumenta il tempo di stimolazione della dopamina e quindi prolunga il piacere. I pericolosi effetti collaterali però non mancano.

Una delle situazioni più allarmanti associate all’assunzione di questa sostanza è il fenomeno dell’overdose. La cocaina una volta assunta viene metabolizzata a livello del fegato e convertita in differenti molecole grazie a particolari enzimi chiamati esterasi. Alcuni prodotti però sono chimicamente molto simili alla cocaina. Per questa ragione continuano ad essere tossici, in distretti fondamentali come cuore, fegato e cervello, anche dopo diverso tempo dall’assunzione. Una situazione questa che si riscontra facilmente in pazienti in overdose.



 

Attualmente una delle strategie nella cura della tossicità da overdose è quella che vede l’eliminazione della cocaina e dei suoi metaboliti dal circolo sanguigno. In questo contesto si colloca la ricerca del professor Remy L. Brim della University of Michigan. L’idea dello scienziato americano è quella di poter utilizzare degli enzimi, le esterasi appunto, in grado di metabolizzare la cocaina più velocemente rispetto a quelle del nostro corpo. Brim e i suoi collaboratori hanno infatti “ingegnerizzato” un enzima, chiamato cocaina esterasi (CocE) in grado di accelerare il processo di conversione della cocaina ad una velocità 1000 volte superiore rispetto all’enzima che risiede nel nostro fegato.

 

CocE è un enzima che è stato scoperto in quei batteri del suolo che vivono in prossimita delle radici delle piante dalle quali si ricava la cocaina. Gli studi preliminari condotti dal professor Brim si sono concentrati nel modificare l’enzima (ingegnerizzarlo) per renderlo ancor più efficiente. Il tutto ha prodotto risultati sorprendenti. Oltre ad aver ottenuto una maggior velocità di metabolizzazione, in modo tale da ridurre il tempo in cui le sostanze tossiche rimangono in circolo, CocE “ingegnerizzato” è stato in grado di degradare la cocaina senza alterare i livelli di benzoilecgonina, il metabolita non tossico che viene utilizzato in analisi clinica per rilevare il consumo di cocaina attraverso l’esame delle urine.

 

Precedenti studi hanno inoltre mostrato come in modelli animali da laboratorio CocE sia in grado di attenuare i danni cardiovascolari della cocaina e di abbassare significativamente la mortalità. Questi dati, uniti alle nuove conoscenze ottenute grazie al professor Remy L. Brim, suggeriscono come CocE ingegnerizzato possa diventare in un futuro non troppo lontano una utile arma per combattere i devastanti effetti dell’overdose da cocaina. Questo risultato però non deve trarre in inganno. Inutile dire ma doveroso sottolineare che i danni della cocaina infatti non sono presenti solo in caso di overdose ma avvengono ad ogni assunzione.