Sono bastate due ore sabato scorso per installare il gigantesco “cesto” dello specchio primario, del diametro di 64 metri, del Sardinia Radio Telescope (SRT) uno dei più grandi radiotelescopi del mondo che fra sei mesi entrerà in funzione a Pranu Saguni, la base a astronomica a 35 km da Cagliari.
Dopo una spettacolare operazione, il parabolide è stato issato a 35 metri di altezza e integrato nella sua struttura portante. C’è voluta una gru speciale, arrivata smontata dall’Olanda su 50 Tir, il cui braccio lungo 100 metri ha potuto sollevare senza difficoltà le circa 500 tonnellate dell’antenna dell’SRT (si pensi che uno Shuttle in rientro pesa 128 tonnellate).
È un sostanziale passo avanti in un’avventura scientifica iniziata nel 1995, quando l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) decise di finanziarne lo studio di fattibilità. La realizzazione è stata possibile grazie all’accordo con l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) e al cofinanziamento del progetto, assieme alla Regione Sardegna, ai fondi comunitari e, naturalmente, al Miur. L’ASI, che fornisce gli equipaggiamenti di telecomunicazioni da integrare nel sistema, ha contribuito al programma con una quota di circa il 25% del costo complessivo (in tutto SRT costa intorno ai 60 milioni di euro).
Ma cos’è un radiotelescopio? Per capirlo bisogna risalire al 1930, quando l’ingegnere americano Karl Jansky scoprì per caso la presenza di un segnale la cui posizione in cielo cambiava con il moto apparente delle stelle fisse. Capì che doveva trattarsi di onde radio provenienti dalla nostra Galassia, anche se in realtà stava cercando tutt’altro: ingaggiato da una società di telecomunicazioni doveva misurare il rumore di fondo radio generato da fenomeni atmosferici.
Da allora si sa che i corpi celesti emettono radiazioni elettromagnetiche anche nelle frequenze radio e si è sviluppato un filone di ricerca, la radioastronomia, che negli ultimi decenni ha fatto passi da gigante ed è oggi fra le discipline più consolidate nel cammino dell’uomo verso la conoscenza dell’universo.
L’Italia è già molto attiva in questo campo con due impianti di portata internazionale situati a Medicina (Bologna) e a Noto (Siracusa). Ma il Sardinia Radio Telescope, per quando sarà finito e operativo agli standard ottimali, promette meraviglie: come la capacità di modificare la superficie dello specchio primario per compensare le deformazioni termiche gravitazionali, caratteristica che lo rende unico in Europa; o il sistema di movimentazione micrometrica dello specchio secondario, che consente di calibrare sempre con la massima precisione il puntamento dello strumento; o ancora quella di osservare le attività delle radiosorgenti sparse per l’universo alla lunghezza d’onda minima di 3 mm, corrispondente a 100 GHz (Gigahertz). Certo, ci vorrà ancora un po’: per tutto il 2011, quando SRT inizierà a funzionare sul serio, difficilmente si supereranno i 40 GHz.
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Ora si continuerà a lavorare per la messa a punto delle funzionalità del radiotelescopio, in modo da arrivare puntuali alla scadenza di dicembre 2010, quando è prevista l’inaugurazione ufficiale. Una volta pronto, SRT sarà alto circa 70 metri e peserà in tutto circa 3000 tonnellate. Un sistema di 16 ruote su un cerchio di rotaie di 40 metri assicurerà i movimenti azimutali, mentre un altro sistema di sollevamento del riflettore primario ne garantirà la rotazione.
Oltre al riflettore primario, SRT dispone di un riflettore secondario e di altri due specchi all’interno della stanza dei ricevitori. Questo complesso sistema di superfici riflettenti fornisce quattro posizioni focali distinte, in ognuna delle quali possono essere alloggiati diversi ricevitori selezionabili automaticamente tramite sistemi robotici.
Data la sua speciale progettazione, il progetto SRT avrà un ruolo che va oltre la sola radioastronomia: infatti, per l’80% del tempo sarà utilizzato dagli astronomi per osservare oggetti celesti, per l’altro 20% verrà impiegato dall’ASI per controllare satelliti e navicelle spaziali: il suo grande diametro e la sua efficienza lo rendono lo strumento ideale per essere inserito nella Deep Space Network, la rete di grandi antenne necessaria a mantenere il contatto con gli esperimenti di esplorazione robotica del sistema solare, di Marte, Giove Saturno e i loro satelliti.