Gli psicologi britannici lanciano l’allarme: per i bambini l’uso del computer può compromettere la capacità di leggere e fare calcoli, deformando la realtà. Al punto che per gli esperti della Royal Society of Medicine, come il dottor Aric Sigman e la professoressa Kathy Hirsh-Pasek, nel corso della conferenza organizzata dalla Open EYE Coalition, impegnata in una campagna di riorganizzazione del sistema educativo inglese, hanno chiesto al governo del Regno Unito delle regole restrittive per vietare il computer prima dei nove anni.



IlSussidiario.net ha intervistato lo psichiatra Alessandro Meluzzi, autorevole voce anche in ambito televisivo, oltre che consulente del Comune di Torino per il settore minori a rischio. Il quale, anche a partire dalla sua esperienza clinica, è in grado come forse nessun altro di descrivere i danni che l’utilizzo prematuro del computer produce nella mente di un bambino. Le cui conseguenze, secondo Meluzzi, possono essere molto gravi, in quanto rischiano di compromettere una serie di facoltà come la logica e l’immaginazione, menomando un bambino per tutta la vita. E anche con la televisione per lo psicologo è meglio non scherzare, in quanto può portare all’autismo e all’indifferenza nei confronti degli stimoli esterni, alterando la percezione della realtà. Anche se Meluzzi dichiara di non condividere la proposta della Royal Society of Medicine per risolvere il problema, cui contrappone una ricetta originale e completamente diversa. Meglio non vietare computer e tv con una legge, ma affidare ai genitori il compito di accompagnare i loro figli alla scoperta di questi strumenti complessi e pieni di rischi, ma anche di opportunità.

Professor Meluzzi, davvero nei bambini il computer crea danni alla capacità di leggere e di fare calcoli come sostengono gli esperti della Royal Society of Medicine?

Sì, ma l’aspetto più grave è che compromettono le stesse procedure logiche e operazionali che stanno alla base di queste attività, così come dello stesso pensiero.

Davvero il computer può essere così nocivo per la salute mentale dei più piccoli?

Per rispondere bisogna tenere conto del fatto che il bambino più ancora di noi adulti è molto portato a imparare facendo. Per esempio giocando, ma anche parlando, scrivendo e calcolando. La sua non è soltanto un’intelligenza cognitiva, ma innanzitutto emotiva. Se insegniamo a un bambino di sette anni a infilare dei numeri in un computer, lui riuscirà anche a fare calcoli molto complessi, ma non imparerà mai a fare le tabelline. Che per l’alunno non sono innanzitutto dei numeri, ma delle filastrocche linguistiche da ripetere all’infinito. Se quindi gli permettiamo di delegare questi calcoli a una procedura automatica, gli precludiamo di fatto la possibilità di imparare qualcosa di cui poi sarà privo per tutta la vita.

 

 

Ma in fondo, non è molto peggio la televisione, che è passiva mentre il computer è interattivo?

 

E’ vero che la televisione può portare all’autismo affettivo e al rischio di cogliere in modo indifferente qualsiasi stimolo, soprattutto se un bambino assiste a spettacoli che non sono adatti alla sua età. La passività con cui si assiste ai programmi sul piccolo schermo e la possibilità di trovarsi di fronte a scene di sesso o violenza, soprattutto se si è lasciati da soli di fronte al televisore, non vanno assolutamente sottovalutati. Un bambino così rischia di sentirsi sempre più isolato ed estraneo alla realtà, fino all’autismo. Ma non è che il computer perché interattivo sia innocente, anche se è utilizzato soltanto per scrivere. La scrittura con la penna mantiene infatti una matericità insostituibile. E se il computer diventa l’unico strumento per fare i calcoli, reperire informazioni e trascriverle, può diventare pericoloso. Alcuni programmi informatici permettono per esempio di sostituire la lettura delle pagine di un romanzo con la visione di alcune icone, menomando gravemente l’immaginazione che in un bambino è una facoltà fondamentale.

 

 

Ma da qui a portare a deformare la realtà, non ci sarà una certa differenza?

 

 

Anche in questo caso, concordo con gli psicologi inglesi. Basta pensare a quanti delitti sono stati commessi di recente da ragazzini come reazione per essere stati interrotti mentre giocavano ai videogame. Nei videogiochi infatti la virtualità della realtà rischia di produrre una pericolosa dissociazione, stimolando la produzione di adrenalina fino al punto di raggiungere un effetto ipnotizzante.

 

 

Non oso immaginare che cosa dirà di Internet…

 

 

Internet è come la biblioteca di Babele del racconto di Jorge Luis Borges, qualcosa cioè in cui c’è dentro di tutto. E che quindi richiede una grande capacità di discernimento, come un oceano che richiede di saper utilizzare la bussola per poterlo navigare. O, per fare un altro paragone, è come un’edicola, dove puoi trovare il New York Times, Le Figarò, Le monde, ma anche i porno. E’ scorretto però identificare Internet in quanto tale con le cose anche negative che ci si possono trovare, sarebbe come confondere il contenuto con il contenitore.

 

 

Fatto sta che la proposta degli psicologi inglesi è di vietare Internet e il computer in generale fino ai nove anni. Lei è d’accordo?

 

L’unica cosa che vieterei è la parola vietare, non è questa la soluzione da adottare. Né tantomeno voglio uno Stato che si intrometta in questi problemi. Sono contrario ai limiti imposti dagli Stati, perché sono quasi sempre idioti, e non possono fare che danni.

 

 

Ma allora il computer fa male, eppure non esiste rimedio…

 

Il rimedio esiste, ma è completamente diverso. Il computer va sì utilizzato, ma «cum grano salis» e senza creare troppa dipendenza dell’uomo dalla macchina. Occorre cioè che i genitori accompagnino i figli nell’utilizzo del computer, e che quindi anche Internet sia legato a un fare insieme e alle relazioni interpersonali. Per cui non un bambino da solo davanti al monitor, ma tutta la famiglia, magari anche con il nonno, per recuperare quella intergenerazionalità che fa parte della sfida educativa e quell’emozione del giudicare il bene e il male, anche di fronte a una pagina del web che magari si apre inaspettata davanti agli occhi di padre e figlio che stanno navigando su internet. Molto meglio questo, dei cosiddetti filtri automatici per minorenni, che di sicuro non bastano perché sono a loro volta una macchina come i computer.

 

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Ma alla fine per un ragazzo che vuole diventare pilota d’aereo è più utile studiare la Divina Commedia o allenarsi con i videogiochi?

 

Per diventare un buon pilota d’aereo è indispensabile avere un forte equilibrio emotivo, altrimenti è meglio usare solo il pilota automatico. E quindi per un ragazzo, anche con questa aspirazione per il suo futuro, è importante studiare non soltanto Dante Alighieri, ma anche Mozart e Beethoven. Poi ovviamente anche i videogame possono aiutare a sviluppare i riflessi, ma non bastano. Più in generale, non sarei troppo categorico rispetto all’includere o meno le esercitazioni con il computer a scuola. Anche la scuola dovrebbe essere più attenta alla società civile e alla famiglia, oltre che all’aspetto soggettivo, e non pretendere di omologare gli studenti imponendo dall’alto dei programmi uguali per tutti. Anche per quanto riguarda l’informatica a scuola quindi vale quello che ho detto prima: bisogna che chi ha la testa ce la metta, per fare sì che sia l’uomo che usa la macchina (cioè il computer) e non viceversa.

 

(Pietro Vernizzi)

 

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