Il laser è una di quelle invenzioni simbolo della scienza moderna. A più di cinquant’anni dall’introduzione dei primi dispositivi che applicavano l’effetto di emissione stimolata di onde elettromagnetiche in presenza ormai di un numero enorme di applicazioni nei campi più svariati, ogni volta che lo si nomina suscita ancora il fascino delle grandi innovazioni. Ciò ancor più si verifica se ne vengono annunciate nuove versioni che promettono di fare passi avanti di grande rilievo tecnologico; anche se spesso molte di queste promesse non sono mantenute. In ogni caso, per una valutazione del carattere promettente o meno dei nuovi modelli, conviene sentire il parere di chi i laser li conosce fin dai primi momenti: come Tito Arecchi, per oltre vent’anni Presidente dell’Istituto Nazionale di Ottica e che è stato tra i primi a studiarli e a offrire contributi teorici e sperimentali sulle straordinarie caratteristiche di questa singolare forma di radiazione.
Con lui abbiamo commentato il recente annuncio di un gruppo di ricercatori dell’Università di Boulder (Colorado) che nei loro Laboratori, in collaborazione con l’Istituto Nazionale degli Standard Metrologici (NIST), hanno realizzato un laser che emette impulsi “oscuri”.
«È ben noto che la luce di un laser può essere continua, come quella di una lampada di casa, o impulsata,quando il laser è posto nelle condizioni atte a generare sequenze di impulsi di luce separate da intervalli bui. Questi impulsi possono essere molto brevi (milli-miliardesimi di secondo, o picosecondi, o addirittura milionesimi di miliardesimo di secondo, o femtosecondi). Si tratta di brevissimi lampi di luce che illuminano un campione di materia, permettendo di congelarne i moti quasi-istantanei, cioè su scale di tempi confrontabili con le vibrazioni molecolari (spostamenti di un atomo rispetto a un altro all’interno di una molecola) o addirittura con i moti ben più rapidi di un elettrone in un atomo».
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Concentrando l’energia fornita al materiale laser in impulsi corti, si raggiunge una potenza istantanea altissima: un normale laser di laboratorio può dare, per un femtosecondo, una potenza pari a quella fornita da tutte le centrali elettriche in funzione; a tale potenza corrispondono campi elettrici così alti da spezzare i legami molecolari o atomici; da qui l’efficacia pratica del laser in sempre numerose applicazioni.
Quello che hanno realizzato i fisici di Boulder, così come lo descrivono nell’articolo sulla rivista specializzata Optics Express, è di aver messo a punto un laser che funziona “alla rovescia”, cioè emette una luce continua, interrotta periodicamente da brevissimi intervalli “oscuri”. Possiamo dire che è una sorta di metronomo, che scandisce il tempo con una risoluzione enorme.
«Che lo si potesse fare – osserva Arecchi – era già noto da tempo. La domanda che mi pongo ora è a che cosa possa servire. Può essere utile in prospettiva nelle telecomunicazioni, o in genere per segnalare dei tempi molto brevi. Ha però uno svantaggio enorme rispetto al laser a impulsi luminosi di cui si è detto; e cioè, dovendo assicurare una luce quasi sempre presente, avrà potenze molto modeste, quindi non può essere utilizzato in quelle applicazioni in cui occorrono grandi potenze ed alti campi».
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Peraltro il ruolo di metronomo era già assicurato dal laser a impulsi luminosi. Arecchi ricorda un principio di saggezza di chi è familiare con le pratiche di laboratorio: «se illumino un oggetto con un impulso di luce, lo forzo violentemente verso un nuovo stato; viceversa se sottraggo l’illuminazione a un oggetto che si era adeguato alla sua fonte di luce, l’oggetto ritorna a riposo con i propri tempi caratteristici, che non hanno nulla a che vedere con la durata dell’impulso oscuro. Resto perciò curioso di vedere se questo nuovo dispositivo avrà una particolare specifica utilizzazione o se si tratta soltanto di una varietà di laboratorio di puro interesse accademico».
(A cura di Mario Gargantini)