Prevedere fenomeni come terremoti e tsunami è di fondamentale importanza per evitare disastri ancora più grandi. Tutti noi abbiamo ancora in mente il terremoto verificatosi a L’Aquila nell’aprile 2009. Da alcune analisi effettuate nei giorni precedenti, il fenomeno sembrava essere stato previsto. Oltre al tentativo di sviluppare tecniche che possano prevedere questo genere di disastri, da alcuni anni sono allo studio metodi per il monitoraggio delle frane. Nell’ambito del progetto strategico del Politecnico di Milano Prometeo, un gruppo di ricerca dell’Ateneo coordinato da Cesare Alippi, ha sviluppato un sistema avanzato per il monitoraggio di frane di crollo, unico e innovativo nel panorama della previsione e prevenzione dei dissesti idrogeologici. Ecco le risposte che il professor Cesare Alippi ha dato a ilsussidiario.net.



Professor Alippi, da dove nasce l’idea di monitorare i fenomeni franosi in montagna?

Il crollo delle pareti rocciose è un fenomeno di difficile predizione. Attualmente le soluzioni satellitari non possono essere impiegate nella valutazione dello spostamento di masse, mentre le soluzioni tradizionali che valutano l’allargamento delle fratture esistenti, non riescono a spiegare i meccanismi fenomenologici che portano al distacco della roccia vanificando così l’efficacia dell’azione predittiva.



Su quali basi scientifiche si basa il vostro progetto?

Siamo partiti da alcuni risultati ottenuti da Arpa Regione Lombardia relativi alla seconda frana del Pizzo Coppetto quando si verificò la grande alluvione in Valtellina. Dopo la prima frana Arpa Lombardia aveva installato dei geofoni, dispositivi in grado di valutare emissioni acustiche, riscontrando poco prima della frana dei fenomeni di questo tipo. C’erano dunque dei segnali ma che allora, complice la scarsa tecnologia, non permettevano di gestire in maniera ottimale le informazioni per fare previsioni.

In che modo state agendo ora?



Nel nostro progetto abbiamo sviluppato dei dispositivi accelerometrici a basso costo, in grado di rilevare il suono delle microrotture all’interno della roccia e le loro eventuali propagazioni all’interno di essa. Questi dispositivi, associati a quelli che valutano gli allargamenti tra le labbra di roccia e la variazione di inclinazione, potranno essere un utile strumento nella previsione delle frane.

Come avete valutato l’efficacia di questi nuovi dispositivi?

Prima di utilizzarli nella montagna, abbiamo sottoposto i dispositivi ad alcuni esperimenti di laboratorio. Abbiamo indotto rotture in alcuni blocchi di materiale calcareo attraverso martelletti pneumatici e valutato i segnali acustici emessi dalla roccia e in particolare dalla rottura della struttura microcristallina.

 

Cosa prevede dal punto di vista sperimentale il progetto?

 

In questi mesi stiamo sperimentando il sistema di previsione sul Monte San Martino a Lecco, area storicamente soggetta a frane di crollo e su cui esistono ammassi rocciosi a rischio di collasso per volumi superiori a decine di migliaia di metri cubi di roccia. Ogni sensore posto sulla montagna acquisisce informazioni sulle emissioni microacusitiche dovute alla rottura della roccia o alla caduta di massi. La raccolta di questi dati deve essere però esaminata per separare questi due tipi di fenomeni. I segnali rilevati sono trasmessi in tempo reale alla sala di monitoraggio presso il Polo Regionale di Lecco del Politecnico di Milano con un ponte radio dedicato. Insieme ai geologi ora si stanno analizzando tutte le informazioni ottenute dai sensori per correlare i dati ottenuti ad una probabilità di rischio di frana.

 

(a cura di Daniele Banfi)