Ogni arma è consentita per combatterli. Stiamo parlando dei tumori, malattie in grado causare circa il 13% delle morti annue in tutto il mondo. Con il progredire della ricerca scientifica, i tentativi di bloccare lo sviluppo del cancro si sono moltiplicati.

Da anni la dottoressa Elisabetta Dejana, scienziata a capo del programma di Angiogenesi presso l’IFOM di Milano, è impegnata nella lotta al grande nemico. Un suo studio, pubblicato dalla prestigiosa rivista Developmental Cell, apre la strada a nuove strategie terapeutiche che potrebbero affiancare e potenziare l’azione delle terapie antineoplastiche che puntano a bloccare la vascolarizzazione dei tumori.



Una fase cruciale dello sviluppo di un tumore è la formazione di nuovi vasi sanguigni. Solo grazie ad essi la massa tumorale è in grado di espandersi. Il sangue rappresenta infatti quel carburante necessario al suo sviluppo. Una volta che il sistema vascolare del tumore si è organizzato e stabilizzato, le cellule cancerose utilizzano i vasi come vere e proprie autostrade attraverso le quali immettersi nel flusso sanguigno e dare inizio al viaggio che le disseminerà in giro per il corpo. Ciò da origine nei diversi organi alle metastasi. Proprio queste ultime rappresentano il fattore chiave della mortalità dei tumori.



Una delle principali strategie che negli anni si è sviluppata è stata quella mirata ad interferire con la formazione dei vasi nel tumore. Da un lato per inibire la sua crescita, dall’altro per arrestare la formazione di metastasi in distretti corporei diversi o periferici rispetto a quello dove il tumore primario si è originariamente sviluppato. Una strategia davvero interessante e che faceva presagire l’imminente soluzione a molti tipi di tumore. Questo approccio però, con il passare degli anni, non ha dimostrato di essere ancora risolutivo.

Diversi studi hanno infatti dimostrato che non è solo la quantità di vasi che alimentano il tumore ad essere una delle cause della sua espansione, ma anche la qualità dei vasi che si formano all’interno della neoplasia. Spesso risultano irregolari, sviluppano un lume alterato, allargato o ridotto, e tra di essi non si distinguono chiaramente le arterie dalle vene. Si tratta di vasi molto fragili e permeabili, che possono facilmente dare origine a emorragie.



 

Come ricorda Elisabetta Dejana, «quando gli argini sono ben costruiti, alti e fortificati è difficile che avvengano esondazioni e la irrigazione dei terreni avviene correttamente. Quando invece gli argini sono deboli e discontinui, le acque del fiume possono straripare, l’irrigazione è alterata ed è più facile accedere al suo alveo dall’esterno. Allo stesso modo, i vasi irregolari e altamente permeabili presenti nei tumori non solo sono emorragici, ma offrono una resistenza molto bassa all’entrata in circolo delle cellule cancerose e alla loro disseminazione».

 

Il contributo della ricerca effettuata presso l’istituto IFOM è stato quello di identificare i fattori responsabili e il loro meccanismo d’azione che porta all’anomala formazione dei vasi sanguigni. La causa risiede nella famiglia di proteine chiamate Wnt, che in condizioni normali regolano diversi processi dello sviluppo embrionale ma che nei tumori sono responsabili dell’anomala struttura dei vasi sanguigni. Le ricadute pratiche della scoperta potrebbero essere molto importanti.

 

Cominciare a identificare molecole cruciali nel creare un sistema vascolare così anomalo, come quello tumorale, permette infatti di individuare precisi bersagli terapeutici con cui interferire per regolarizzare il sistema vascolare.

 

Come osserva Elisabetta Dejana, «le terapie che bloccano la vascolarizzazione del tumore restano ovviamente valide e sono in fase di sperimentazione clinica. La rilevanza di questa ricerca però, soprattutto nei tumori in fase avanzata, risiede anche nello stabilizzare e normalizzare i vasi per favorire una migliore diffusione dei farmaci all’interno della massa tumorale e contribuire a prevenire o fermare le metastasi».