Uno dei principali timori di chi si dedica all’immersione subacque, oltre all’embolia, è la cosiddetta malattia da decompressione. La malattia è dovuta alla presenza di bolle che si formano e aumentano, durante e dopo la risalita del sub, a causa dell’eccessivo assorbimento di azoto o di altro gas inerte da parte dei tessuti durante l’immersione.



La comprensione dei meccanismi di formazione di tali bolle non era ancora ben chiara e ora una possibilità di spiegazione potrebbe giungere a seguito di uno studio pubblicato sul Journal of Chemical Physics da Saul Goldman dell’Università di Guelph in Ontario (Canada).

L’articolo, il secondo di una serie sull’argomento, è un raffinato saggio di termodinamica, zeppo di formule e apparentemente lontano da interessi di tipo medico o sportivo; ma fin dall’inizio l’autore avverte che i modelli teorici sviluppati nel seguito sembrano adattarsi molto bene al caso delle bolle dei sub. E forse si può pensare che la cosa si estenda ad altre situazioni dove si verifichino forti sbalzi di pressione, come nel caso delle esplorazioni spaziali.



Tutto dipende dall’azoto, questo gas inerte, inodore e insapore che costituisce il 78% dell’atmosfera terrestre ed è assorbito dai tessuti del corpo umano attraverso i sistemi circolatorio e respiratorio. Quando un subacqueo inizia a risalire, la pressione sul suo corpo diminuisce. Dato che egli ha continuato ad assorbire azoto durante l’immersione, durante la risalita egli raggiungerà una profondità alla quale la pressione dei tessuti è maggiore della pressione ambiente.

Allora i tessuti sono sovrasaturi, poiché contengono più azoto di quello che possono tenere alla pressione ambiente. L’azoto inizia quindi a ridisciogliersi fuori dai tessuti formando delle bolle. Normalmente si formano delle micro bolle che poi vengono eliminate senza problemi.



 

In alcuni casi però c’è un accumulo di micro bolle con la formazione e l’espansione di bolle di maggiori dimensioni che possono avere effetti meccanici o biochimici: i primi comprendono distorsione o asportazione di tessuto e la riduzione, o interruzione completa, del flusso sanguigno; gli effetti biochimici includono l’attivazione di meccanismi infiammatori e la coagulazione, con perdita di fluidi dal sistema circolatorio.

 

La cosa strana è che, secondo Goldman, dal punto di vista termodinamico queste bolle non dovrebbero esistere: essendo formate da azoto, mentre l’atmosfera circostante comprende azoto ma anche ossigeno, la loro pressione dovrebbe essere minore di quella esterna e così dovrebbero facilmente collassare. D’altra parte, le spiegazioni finora fornite in ambito medico della malattia da decompressione, si basano sulla presenza preesistente delle bolle e sulla loro successiva espansione.

 

Per capire allora come restino stabili, il chimico canadese ha ideato uno speciale modello per i tessuti umani: ha pensato a un materiale soffice ed elastico con qualche grado di rigidità; in un simile materiale è possibile calcolare la presenza stabile delle bolle.

 

La novità rispetto ai modelli precedenti sta nell’aver rinunciato a pensare alla formazione delle bolle nei liquidi che non hanno alcun elemento di rigidità. Invece nel materiale elastico utilizzato da Goldman, avviene un fenomeno fisico simile alla cavitazione (detto, con termine ancor più astruso, tribonucleazione), cioè alla formazione di cavità gassose all’interno dei fluidi dovuta a sbalzi di pressione; le bolle così create sono metastabili e di non lunga durata tuttavia hanno il vantaggio di riprodursi periodicamente.

 

Ecco allora la chiave per spiegare la formazione delle bollicine nei tessuti e la loro conseguente espansione.

 

 

La spiegazione potrà favorire la messa a punto di più efficaci metodi di prevenzione e di pronto intervento in caso di insorgenza della malattia. In ogni caso, per gli amanti delle esplorazioni subacquee vale sempre il principio di non fidarsi delle improvvisazioni e di attenersi alle tabelle che specificano i tempi massimi di immersione e le velocità di risalita.