Non è difficile rendersi conto che l’occhio umano non riesce a distinguere due oggetti separati da una distanza minore di un decimo di millimetro; è un limite fisiologico che corrisponde a quello che i fisici chiamano potere risolutivo: quello speciale strumento ottico che è l’occhio umano non riesce a “risolvere” particolari così piccoli. Ma da oltre 400 anni questo limite è stato superato grazie allo sviluppo di particolari dispositivi ottici: i microscopi.
Sin dalla fine del milleottocento però era noto che il potere risolutivo di un microscopio ideale è intrinsecamente legato alla lunghezza d’onda della radiazione utilizzata per illuminare l’oggetto (limite di diffrazione): in pratica, un microscopio ideale che utilizzi la normale luce visibile – che ha una lunghezza d’onda dell’ordine di un decimo di micron (millesimo di millimetro) – non può distinguere oggetti più piccoli di tale lunghezza d’onda.
Se quindi si devono visualizzare gli atomi in un solido per capirne le proprietà, allora è necessario usare lunghezze d’onda almeno mille volte più piccole di quelle della luce visibile, essendo le distanze interatomiche nei solidi dell’ordine dell’ångström (cioè un decimo di milionesimo di millimetro). Quest’esigenza è alla base dell’invenzione dei microscopi elettronici, che “illuminano” il campione con elettroni di lunghezza d’onda un milione di volte più piccola della luce visibile.
Abbiamo parlato però di microscopio ideale. Sfortunatamente le lenti utilizzate in un microscopio elettronico sono ben lontane dall’essere ideali e le immagini che si ottengono sono affette da aberrazioni tali da far sì che la risoluzione sia cento volte peggiore del limite di diffrazione e quindi appena sufficiente a distinguere alcuni degli atomi in un reticolo cristallino.
Lo studio dei materiali per le nanotecnologie ha però bisogno di risoluzioni sempre più elevate in quanto anche piccole deformazioni in un reticolo cristallino di un solido hanno una grande importanza sulle sue proprietà e, quindi, sulle prestazioni. Questa necessità ha stimolato notevoli sforzi tecnico-scientifici rivolti a correggere sempre meglio le aberrazioni delle lenti elettro-ottiche e, negli ultimi anni, lo sviluppo microscopi dotati di complessi e costosi correttori di aberrazione sferica hanno permesso di migliorare ulteriormente la risoluzione spaziale sino a circa 0,5 ångström.
Un altro importante passo in avanti è stato recentemente ottenuto grazie a un approccio differente riportato in uno studio, pubblicato su Nature Nanotechnology nei mesi scorsi. Il lavoro, realizzato dalla collaborazione di tre gruppi di ricerca del CNR in una fattiva triangolazione Trieste-Bari-Lecce, mostra come sia possibile superare, tramite opportuni algoritmi matematici (tecniche cosiddette di “phase retrieval”), i limiti introdotti dalle aberrazioni elettro-ottiche delle lenti.
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«Si tratta – spiega Cinzia Giannini dell’Istituto di Cristallografia del CNR di Bari – di utilizzare l’informazione sperimentale contenuta nei dati di diffrazione elettronica, che hanno distorsioni molto piccole, unitamente a un algoritmo matematico che svolge il ruolo di una lente ideale. Lo studio è stato condotto su un nanocristallo di biossido di titanio (TiO2), con un diametro di circa 50 ångström e una lunghezza di circa 180 ångström utilizzando un microscopio elettronico in trasmissione con una risoluzione spaziale di 1,9 ångström, senza correttore d’aberrazione sferica».
Il nuovo approccio di “diffractive imaging” ha permesso di «visualizzare gli atomi della struttura del nanocristallo con una risoluzione di 0,7 ångström, consentendo di visualizzare e discriminare le colonne degli atomi di ossigeno e titanio nella cella cristallina, non altrimenti distinguibili alla risoluzione di 1,9 ångström a cui opera il microscopio. Inoltre, è stato possibile identificare piccole distorsioni strutturali correlabili con le proprietà chimico-fisiche del materiale».
L’esperimento è stato realizzato da Elvio Carlino presso il centro di microscopia elettronica dello IOM-CNR TASC di Trieste, su dei nanocristalli di TiO2 sintetizzati da Davide Cozzoli e Gianvito Caputo presso NNL-CNR di Lecce. I dati sono stati elaborati utilizzando un algoritmo di ricostruzione della fase sviluppato da Liberato De Caro e Cinzia Giannini presso l’ IC-CNR di Bari.
L’approccio seguito dai ricercatori del CNR è applicabile anche a esperimenti realizzati su microscopi equipaggiati con correttori d’aberrazione, permettendo un ulteriore miglioramento del limite di risoluzione.
«I risvolti di questi risultati hanno un ampio campo d’applicazione nello studio della materia a risoluzione sub-atomica, laddove si potrebbero aprire spazi di conoscenza sin qui inaccessibili. Un campo potenziale di applicazione, ad esempio, è quello della ingegneria di nuovi materiali per dispositivi nano/biotecnologici, a base di esotiche interfacce fra nano-oggetti, così come nella realizzazione di architetture a base di nano-macchine naturali (DNA, cellule, proteine ecc). Definire alla scala sub-atomica le proprietà strutturali di un nano-sistema permetterà di comprendere e progettare sempre meglio nuovi materiali intelligenti».