Ha un nome da fantascienza, ma i dati che sta raccogliendo sono terribilmente reali: è Urania, la nave oceanografica dell’Istituto per le ricerche marine Ismar-Cnr di La Spezia. Urania ha un’autonomia di 45 giorni e può ospitare un massimo di 36 uomini tra personale scientifico ed equipaggio. La gamma di velocità per il rilevamento continuo varia tra 1,5 e 11 nodi.
Sulla nave si trovano laboratori per analisi, sistemi di campionamento geologico, laboratori chimici e radiologici e sistemi per l’elaborazione di dati di navigazione, geofisici e quelli acquisiti con il ROV (Remote Operated Vehicle) e con la sonda multiparametrica.
Grazie a queste apparecchiature l’Ismar ha potuto condurre accurate ricerche sullo stato di salute del Mare Nostrum. Si tratta di osservazioni di lungo periodo: «I nostri monitoraggi di temperatura e di salinità delle acque mediterranee – ci dice Katrin Schroeder, che all’Ismar si occupa di oceanografia fisica – partono dalla fine degli anni ‘80 e si svolgono all’interno di vari progetti di ricerca nazionali o europei che si susseguono nel tempo, per una durata tipica di 2-3 anni».
Tra i progetti più recenti c’è il progetto SESAME (Southern European Seas: Assessing and Modelling Ecosystem changes) finanziato dalla comunità europea e ora è in fase di chiusura: è un progetto multidisciplinare mirato all’esplorazione e allo studio dei cambiamenti ecosistemici nel Mar Mediterraneo e Mar Nero e ha visto il coinvolgimento di una cinquantina di istituti di ricerca e università europei, con competenza che vanno dall’oceanografia fisica e chimica, alla biologia, fino alle scienze economiche.
Questo tipo di osservazioni era rientrato anche in un progetto nazionale ormai conclusosi, VECTOR (VulnErabilità delle Coste e degli ecosistemi marini italiani ai cambiamenti climaTici e loro ruolO nei cicli del caRbonio mediterraneo), finanziato dal Miur, il cui obiettivo era lo studio degli impatti più significativi dei cambiamenti climatici in atto sull’ambiente marino mediterraneo e il ruolo di questo bacino nel ciclo planetario della CO2.
A seguito di queste attività, gli scienziati del Cnr sono arrivati a una prima conclusione piuttosto preoccupante: le acque di profondità del bacino nord occidentale del Mediterraneo si stanno riscaldando e diventano più salate. Il rapido aumento di temperatura e di salinità degli strati profondi sembra essere causato in parte dalla generale diminuzione delle precipitazioni e in parte all’aumento dell’evaporazione che sta interessando l’intero bacino.
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La tendenza, già apprezzabile a partire dagli anni ‘50, ha subito dal 2005 un’improvvisa accelerazione, destando interesse e preoccupazione per le possibili conseguenze sugli equilibri delicati delle nostre acque e di quelle oceaniche.
«Il Mare Nostrum è semichiuso, reagisce in fretta ai cambiamenti e rappresenta un “laboratorio” ideale per gli studi climatici – spiega la Schroeder – Essendo poi in comunicazione con l’Oceano, le sue trasformazioni possono interessare anche bacini distanti e più vasti. Un esempio? Un maggiore apporto di sale e di calore dal Mediterraneo verso l’Atlantico potrebbe, ipoteticamente, interagire con la circolazione termoalina oceanica e con i meccanismi che mantengono in moto la corrente del Golfo. Lo Stretto di Gibilterra, infatti, pur avendo una profondità relativamente ridotta (circa 300 metri), permette una parziale fuoriuscita delle acque profonde mediterranee».
La circolazione termoalina è causata dalla diversa densità delle acque di superficie rispetto a quelle sottostanti e garantisce la ventilazione e il ricambio degli strati profondi. «Il Mediterraneo è uno dei pochi posti al mondo dove avviene la convezione termoalina di grandi masse d’acqua. L’acqua densa che si produce nel Golfo del Leone, nel Mar Ligure e nel bacino catalano per effetto dei venti freddi e secchi che soffiano in inverno, sprofonda e si espande, insinuandosi sotto altri strati, innescando un processo di circolazione verticale e orizzontale delle acque, essenziale per la vita».
Grazie al processo di formazione di acque dense, il Mediterraneo è anche un grande polmone per la CO2 . Infatti le acque superficiali ricche di CO2, quando sprofondano sequestrano grandi quantità di questo gas serra e, visto il recente verificarsi di eventi di formazione particolarmente intensi, il Mediterraneo occidentale sembra essere molto efficiente da tale punto di vista.
«Per il momento, le variazioni che abbiamo rilevato nel corso delle campagne a bordo di Urania, pur significative nella tendenza, sono ancora minime: in quattro anni la salinità registrata è aumentata di 0,024, mentre la temperatura di 0,042 °C. Sebbene possano sembrare valori infinitesimi, sono 4-7 volte più rapidi dei trend riportati dagli studi precedenti».
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Se le condizioni generali del Mediterraneo sono destinate a peggiorare lo sapremo via via che arriveranno i risultati di altre campagne. Come quelle del programma internazionale HYMEX (HYdrological cycle in the Mediterranean EXperiment), peraltro ancora in attesa di finanziamento, il cui scopo è di studiare il ciclo idrologico del Mediterraneo nei suoi vari comparti: terrestre, atmosferico e marino.
L’occhio vigile del Cnr-Ismar è poi sempre all’opera nei suoi punti fissi di osservazione (con misure in continuo dalla fine degli anni Ottanta nel Canale di Sicilia e nel Canale di Corsica) che fanno parte di un network internazionale di monitoraggio delle proprietà delle masse d’acqua mediterranee, denominato Hydrochanges e promosso dal CIESM (Commission Internationale pour l’Exploration Scientifique de la mer Méditerranée).