Per vedere bisogna anche toccare? A quanto sembra è proprio così. Alcuni ricercatori dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa e Milano (In-Cnr) hanno dimostrato come un segnale tattile sia in grado di interagire con un segnale visivo non appena le due informazioni arrivano al cervello. Lo studio è stato pubblicato dalla rivista Current Biology. Per comprendere i risultati dell’analisi abbiamo intervistato la dottoressa Claudia Lunghi, una delle autrici della ricerca.
Dottoressa Lunghi, nel vostro studio dichiarate che la scoperta ottenuta suggerisce una revisione dei modelli di base della fisiologia sensoriale del cervello. Che cosa avete scoperto e in che modo ciò influenzerà questi modelli di base?
In passato si è sempre pensato che gli stimoli esterni venissero prima elaborati nelle aree primarie del cervello. I suoni nell’area uditiva, la vista nell’area della corteccia visiva primaria e così via. Nella visione classica, i segnali una volta elaborati vengono processati in aree associative per dare luogo alla cosidetta percezione multisensoriale. Quello che invece sta emergendo da recenti studi è che stimoli visivi e tattili possono essere integrati anche senza essere percepiti coscientemente e che l’integrazione possa avvenire già a livello dei primissimi stadi dell’elaborazione visiva, ovvero a livello della corteccia visiva primaria. Il nostro studio dimostra che l’interazione tra segnali multisensoriali può avvenire già a livello delle aree primarie, ovvero non appena le informazioni sensoriali arrivano al cervello.
Come avete realizzato gli esperimenti?
Per realizzare la ricerca ci siamo avvalsi del fenomeno della rivalità binoculare. Sedue immagini diverse vengono presentate contemporaneamente ai due occhi, il cervello entra in una stato di confusione. Esso non è in grado di combinare le due immagini, come avviene normalmente quando vediamo una sola immagine, ma le due visioni entrano in competizione alternandosi. Nonostante un occhio veda un’immagine e l’altro occhio ne veda un’altra, la nostra percezione cosciente è un’alternanza delle due visioni. Nel nostro studio abbiamo provocato questo fenomeno facendo vedere a delle persone un reticolo orizzontale da un occhio e uno verticale dall’altro. A questo punto, ottenuta la rivalità binoculare abbiamo introdotto uno stimolo tattile. Esso, se è congruente con lo stimolo visivo soppresso durante la rivalità binoculare, è in grado di rafforzarne il segnale a tal punto da riportarlo a coscienza. Se l’osservatore sta vedendo il reticolo orizzontale ma tocca un reticolo verticale, nella maggior parte dei casi la dominanza dell’orizzontale sarà interrotta e l’osservatore tornerà a vedere verticale.Dunque un segnale tattile può interagire con quello visivo anche quando questo si trova al di fuori della consapevolezza dimostrando che l’interazione ha luogo già a livello della corteccia visiva primaria.
L’aver ottenuto queste informazioni, oltre a suggerire una revisione dei modelli, può portare a qualche applicazione pratica?
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L’applicazione clinica non riguarda strettamente la nostra ricerca, però lo studio da noi effettuato ha portato nuove conoscenze a riguardo dei meccanismi di plasticità che si instaurano dopo un danno sensoriale come la cecità. Nei ciechi infatti la corteccia visiva primaria è reclutata per l’elaborazione dell’informazione tattile. Con la nostra ricerca abbiamo dimostrato che le connessioni tra corteccia somatosensoriale e visiva non vengono create ex novo, ma sono un corredo naturale del sistema. Queste nuove informazioni potrebbero essere in futuro utilizzate dai clinici.
Come intendete proseguire gli studi?
Ora l’obbiettivo primario è quello di valutare quello che accade durante gli esperimenti con la risonanza magnetica. Andare quindi a vedere se le misure comportamentali da noi ottenute corrispondono a una aumentata attività a livello della corteccia visiva primaria. Un altro obbiettivo è quello invece di vedere se il fenomeno dell’integrazione visiva e tattile avviene anche nei bambini. Questo perché è stato scoperto recentemente che fino ai sei anni di età l’integrazione avviene in maniera differente rispetto all’adulto, addirittura sembrerebbe in maniera opposta.
(a cura di Daniele Banfi)