Ogni tanto qualcuno ci prova. L’idea di poter abbattere le teorie dominanti è troppo stimolante per gli scienziati e soprattutto per i fisici teorici. Figurarsi poi se si tratta di teorie che riguardano l’intero universo, la sua origine e la sua evoluzione.

Ora è la volta del fisico cineseWun-Yi Shu, del Dipartimento di Statistica della National Tsing Hua University di Taiwan, che ha pubblicato nel sito arXiv.org, il servizio di pubblicazioni on line della Cornell University, un articolo dal titolo perentorio: “Cosmological Models with No Big Bang”, ovvero Modelli cosmologici senza Big Bang.



Wun-Yi Shu si differenzia da altri oppositori del Big Bang, come l’astrofisico americano Halton Arp celebre per le sue interpretazioni alternative dello spostamento verso il rosso (red shift) dello spettro delle galassie. Arp era arrivato a negare la stessa espansione dell’universo, vedendo il red shift come puro indicatore dell’età delle galassie e dei quasar e sviluppando una cosmologia che non ha bisogno del grande scoppio iniziale. Ma i dati sperimentali hanno rapidamente fatto tramontare questa ipotesi.



Il fisico taiwanese non considera i lavori di Arp (che non è neppure citato nella bibliografia dell’articolo) ma prende le mosse proprio dai grandi risultati osservativi della fine degli anni Novanta, quando si è potuto misurare il tasso di espansione dell’universo e si è scoperto non solo che l’espansione è in atto, ma anche che sta accelerando.

Per spiegare un fenomeno simile i fisici hanno dovuto ricorrere all’ipotesi dell’esistenza di una “energia oscura”, che costituirebbe addirittura il 73% dell’universo e la cui natura resta appunto “oscura”. Si è aperta quindi la caccia a questa energia e la sua scoperta è uno degli obiettivi di molte ricerche non solo in cosmologia ma anche nella fisica fondamentale (LHC non potrà dire niente sulla dark Energy, solo sulla dark matter!).



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Ebbene, Wun-Yi Shu non vuol sentir parlare di energia oscura e riparte dalle classiche equazioni del campo gravitazionale di Einstein senza però introdurre la cosiddetta costante cosmologica; assume inoltre l’ipotesi che la velocità della luce e la costante di gravitazione universale di Newton non siano costanti ma cambino valore con l’espansione. Quest’ultima poi sarebbe variabile, alternando fasi di accelerazione ad altre di decelerazione. Di conseguenza non ci sarebbe nessun botto iniziale e nessuno stadio finale, mentre tempo e spazio continuerebbero a convertirsi l’uno nell’altro.

 

Ma come reagiscono a questa visione gli scienziati che stanno studiando l’universo proprio nei suoi momenti iniziali, a ridosso del Big Bang? Secondo Marco Bersanelli, astrofisico dell’Università degli Studi di Milano, «si tratta di una nuova versione di un’idea vecchia, che risale a Paul Dirac negli anni ‘30, quella della variazione delle costanti di natura con il tempo cosmico: in particolare della velocità della luce e della costante di gravità. Questa versione, che eliminerebbe dal punto di vista dinamico la necessità di una fase iniziale calda dell’universo, è però in grave difficoltà di fronte ai numerosi dati che vengono dalle osservazioni cosmologiche e astrofisiche».

 

Bersanelli indica quindi la serie di riscontri derivanti dalle osservazioni, che negli ultimi tempi sono diventate sempre più potenti e precise. «È infatti consolidata l’osservazione dell’abbondanza degli elementi leggeri primordiali (elio e deuterio in particolare) in pieno accordo con le previsioni di una fase primordiale calda dell’universo, quando nella prima manciata di minuti dopo il Big Bang la temperatura doveva essere ovunque equivalente a quella che oggi si trova al centro delle stelle».

 

E poi fa riferimento alle misure che lui stesso sta elaborando a seguito dei dati raccolti dalla sonda spaziale Planck, la missione dell’ESA tuttora in corso e della quale il fisico milanese è uno dei leader: «Ancor più schiaccianti, dal punto di vista osservativo, sono le caratteristiche e l’esistenza stessa del fondo cosmico di microonde, la luce primordiale rilasciata nell’universo 14 miliardi di anni fa. Oggi possiamo misurare con grande accuratezza le proprietà fini di questa luce fossile (spettro, anisotropia e polarizzazione), che sono state previste prima della loro osservazione, proprio ipotizzando l’esistenza della fase iniziale calda dell’universo». È con questi dati che ogni nuova teoria deve fare i conti, senza arrivare affrettatamente a conclusioni ad effetto.

 

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Bersanelli peraltro, non è unilateralmente arroccato nella difesa della teoria del Big Bang ed è aperto a valutare altri possibili modelli; a condizione che questi siano accompagnati dai dati e dalle misure e riescano a spiegare i fenomeni osservati: «Sarebbe interessante se oggi vi fosse una teoria cosmologica credibile alternativa a quella del big bang caldo. Tuttavia, finché gli scenari proposti non saranno in grado di dar ragione di queste osservazioni fondamentali e ben consolidate, non potranno essere scientificamente competitivi».

 

Un deciso richiamo quindi a un criterio fondamentale che guida la spiegazione scientifica dei fenomeni naturali, cioè l’esigenza di passare ogni ipotesi e modello teorico al severo tribunale dell’osservazione e al vaglio del riscontro sperimentale. Tenendo ben ferma la convinzione che la scienza ha molto da dirci su come questo mondo esiste, ma nulla può affermare sulla domanda più cruciale del perché esiste, sul mistero della sua stessa esistenza.

 

(a cura di Mario Gargantini)