Come è nata la Luna? L’ipotesi scientifica più accreditata per spiegare l’origine del nostro compagno celeste è che sia nato da uno scontro fra la Terra primordiale e un corpo celeste di grandi dimensioni, un planetoide delle dimensioni di Marte chiamato Theia; l’ammasso di detriti susseguente a quello scontro si sarebbe poi raddensato sempre più per effetto della forza di gravità, arrivando a formare il nostro unico satellite.



La prova più decisiva a supporto di questa ipotesi è la composizione chimica della superficie lunare, pressoché identica a quella del mantello terrestre: la Terra e la Luna, dunque, appaiono simili almeno sotto questo punto di vista. Per moltissimi altri aspetti invece differiscono profondamente: dimensioni, attività geologica, assenza di un’atmosfera e quindi di una biosfera (l’insieme dei viventi), ma soprattutto per l’evidente mancanza di acqua.



Da un paio di anni ci si interroga però sempre di più sulla presenza di tracce di acqua sottoforma di ghiaccio sulla superficie lunare. Se il dibattito appassiona alcuni settori di ricerca – come quelli legati all’astronautica, che vedono nella presenza di acqua sulla Luna la possibilità di realizzare “in loco” combustibili per nuove missioni verso lo spazio profondo – altri settori invece si interrogano soprattutto sull’origine di queste tracce del prezioso liquido. Giusto lo scorso anno una missione Nasa aveva scoperto tracce di ghiaccio nei pressi dei poli lunari: evento che non ha fatto altro che rinfocolare l’attività di studio da parte di diversi gruppi di ricerca.



Pochi giorni fa è uscito un interessante articolo da parte del geologo Zachary Sharp dell’Università del New Mexico e di un team di scienziati della California, del Texas e del New Mexico, focalizzato sulla disputa intorno all’origine dell’acqua presente sulla Luna. Per la realizzazione della ricerca è stata fondamentale la partecipazione di Yongqiang Wang, leader del Laboratorio di Fasci di Materiali Ionizzati di Los Alamos.

In sostanza la conclusione – ancorché provvisoria, secondo lo stesso Sharp, e bisognosa di ulteriori verifiche – è che la Luna di per sé nasce senza acqua: è “intrinsecamente asciutta”. L’acqua che si trova sulla superficie lunare sarebbe perciò stata portata da qualche cometa, oggetti celesti composti fondamentalmente da ghiaccio.

Per supportare questa ipotesi, il gruppo guidato da Sharp ha messo in atto un’innovativa tecnica di misura basata sulla quantificazione delle abbondanze relative di due isotopi del Cloro, il 35 e il 37, in campioni di rocce terrestri e lunari. Il Cloro reagisce rapidamente con l’Idrogeno ed è altamente volatile. Le abbondanze relative e le concentrazioni di questi isotopi forniscono perciò l’“impronta digitale” dell’eventuale acqua contenuta nelle rocce vulcaniche. Assumendo che la Luna si sia formata per l’impatto fra la Terra e un planetoide di grandi dimensioni, è ragionevole pensare che i basalti dovrebbero condividere le stesse caratteristiche di umidità. Ma la realtà è ben differente: Sharp e i suoi hanno perciò esaminato tre possibili scenari.

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Il primo ipotizza che la collisione iniziale abbia omogeneizzato i materiali in un materiale dalla stessa composizione per la Terra e la Luna; il secondo che il vento solare, ricco di Idrogeno, abbia strappato via sostanzialmente uno degli isotopi del Cloro dalle rocce lunari; il terzo che i basalti lunari siano intrinsecamente asciutti.

 

Il primo scenario è stato rapidamente abbandonato, sulla base delle osservazioni dirette delle composizioni delle rocce lunari e terrestri. Il secondo ha necessitato esami in laboratorio bombardando sottili strati di Cloruro di Sodio (il sale da cucina) con un fascio di protoni (cioè nuclei di Idrogeno, come il vento solare).

 

Il Cloro 35, più leggero, dovrebbe essere strappato via più facilmente, originando HCl dall’interazione con i protoni: si dovrebbero perciò trovare maggiori concentrazioni di Cloro 37 nelle rocce superficiali. Ma un’esposizione pari a eoni (unità di tempo geologico) di bombardamento da vento solare ha mostrato che le rocce sono sostanzialmente indifferenti all’assalto dei protoni. Anzi, le rocce in superficie mostrano livelli infimi di Cloro 37 rispetto al Cloro 35, mentre quelle più in profondità mostrano livelli più alti di Cloro 37, perché schermate dalle rocce superficiali.

 

Anche il secondo scenario è stato perciò abbandonato. Il terzo scenario e stato scelto in virtù della composizione chimica dei campioni di roccia lunare, poiché gli isotopi di Cloro residui sembrano essere stati formati da composti metallici del Cloro, come Cloruro di Sodio, di Zinco e di Ferro, che sembrano aver rivestito superficialmente le rocce vulcaniche.

 

Ed ecco la chiusura del cerchio: sulla superficie terrestre le abbondanze isotopiche sono omogenee perché gli elementi interagiscono velocemente con l’Idrogeno contenuto nell’acqua. Ma sulla Luna la variabilità di queste abbondanze è enorme, “sconcertante” secondo Sharp, cosa che non potrebbe essere accaduta di fronte a grandi quantità di Idrogeno.

 

Ecco perché, conclude Sharp, “una variabilità così grande è potuta accadere solo ammettendo che il contenuto di Idrogeno della Luna sia stato da diecimila a centomila volta più basso che sulla Terra”.