C’è un ponte ideale in questi giorni tra Rimini e Hyderabad (India): un ponte fatto di numeri, di forme geometriche, di strutture logiche, di algoritmi. E’ il ponte della matematica. Nella storica città indiana, è in pieno svolgimento il Congresso Internazionale dei Matematici (ICM): un evento di assoluta rilevanza, che si svolge ogni quattro anni e raduna il fior fiore dei matematici mondiali.



È l’occasione molto attesa per l’assegnazione dei più prestigiosi riconoscimenti in questo campo: a cominciare dalle medaglie Fields, l’equivalente dei Nobel per la matematica, assegnati a studiosi al di sotto dei 40 anni (questa volta ne sono state attribuite quattro); ma ci sono anche il Rolf Nevanlinna Prize, il Carl Friedrich Gauss Prize e, per la prima volta la Chern Medal.



Sull’altra campata del ponte, a Rimini, viene presentata oggi la mostra “Da uno a infinito. Al cuore della matematica”, curata dell’Associazione Euresis. A parlarne, insieme ai curatori Raffaella Manara e Marco Bramanti, ci sarà Edward Nelson, un volto già noto al pubblico del Meeting che lo ricorda nel 2006 intervenire sul tema “Vastità e infinito nella scienza”. Nelson insegna all’università di Princeton e, dopo essersi occupato di teoria della probabilità e di fisica matematica, da qualche anno si dedica totalmente allo studio dei fondamenti della logica matematica.



Non nasconde la sua sorpresa, anche a una prima visione veloce, per l’impatto positivo della mostra e per la capacità del team che l’ha realizzata di assemblare in un percorso impegnativo ma attraente, contenuti così vasti e significativi. Ha anticipato a Ilsussidiario.net alcune sue riflessioni.

 

Iniziamo da una domanda classica: una questione sulla quale si dibatte da sempre, e forse si continuerà a dibattere, è se la matematica si scopre o si inventa. Lei cosa ne pensa?

Direi che la matematica si inventa. Naturalmente si tratta di una mia valutazione: io ritengo che non esista una realtà matematica esterna a noi: la matematica è il frutto di un’invenzione umana. Ma attenzione. Non è un’invenzione arbitraria. È certamente un’invenzione sociale: non si fa la matematica da soli; è un lavoro comune, in rapporto continuo con i colleghi, e non solo quelli attuali ma anche quelli del passato (come si può vedere nel percorso introduttivo della mostra).

Soprattutto non è arbitraria perché passa attraverso il rigoroso processo della dimostrazione (anche questo uno dei passaggi cardine della mostra). C’è da aggiungere che anche la fisica moderna, in certe sue punte avanzate come la cosiddetta teoria delle stringhe, è molto più simile alla matematica e manca ancora di un riscontro con dei dati misurabili: non è quindi più così chiaro se si tratti di scoperta o, anche in quel caso, di invenzione.

 

La matematica si è sviluppata in tante direzioni (nella mostra è raffigurato l’albero delle matematiche…) e oggi affronta problemi molto complessi. Però c’è ancora tanto da capire su alcuni elementi basilari, ad esempio sugli stessi numeri. È uno dei tanti paradossi o è naturale che sia così?

 

È un paradosso ed è naturale che lo sia. Le cose semplici sono le più difficili da capire: le cose complesse infatti si basano su un insieme di cose conosciute mentre le realtà basilari non hanno nulla a cui riferirsi, su cui fondarsi, in quanto dovrebbero esse stesse costituire i fondamenti. Io credo ad esempio che ci siano ancora problemi fondamentali da risolvere in aritmetica, che è la teoria più semplice che possiamo trovare in matematica.

Non sono convinto che questa teoria sia consistente (come invece è consistente, ad esempio, la classica geometria euclidea); e se un sistema non è consistente si può dire tutto e il contrario di tutto: quindi perde di interesse. Ma mi rendo conto di essere in minoranza su una simile valutazione.

 

Come mai i matematici non hanno paura ad utilizzare aggettivi estremi: infinito, illimitato, perfetto, aureo… È presunzione, gusto del paradosso, ironia?

Inizierò col rispondere rilanciando la palla ai miei colleghi fisici: mi sembra che anche i fisici facciano così, cioè abbiano la tendenza a ricorrere a una terminologia estrema. Comunque, se per termini come aureo o perfetto si può parlare di gusto del paradossale, quanto all’infinito bisogna dire che ha un senso molto preciso in matematica: l’infinito ha un suo ruolo determinante e una sua specificità, non c’è sinonimo adeguato che lo possa sostituire.

Del resto gli stessi matematici di fine ottocento sono rimasti tutti sorpresi dalla teoria degli insiemi di Cantor che permetteva di parlare di insiemi infiniti. Peraltro, anche sulla consistenza della teoria di Cantor ho le mie perplessità.

Dove trova personalmente il valore e il senso di ricerche che non sembrano avere applicazioni pratiche (almeno per ora)?

È per il gusto della sfida, della lotta contro l’ignoto. Quando un matematico sceglie un tema su cui concentrarsi, cerca sempre un problema difficile, arduo, ma non impossibile, per avere la gioia della conquista, della scoperta di qualcosa di veramente nuovo. Noterà che ho usato il verbo scoprire anche se prima mi sono dichiarato non platonico, cioè contrario all’idea della matematica come scoperta: ma qui mi riferisco al riflesso psicologico, che tocca più l’atteggiamento del ricercatore che le questioni epistemologiche.

Anche il confronto con i colleghi, sia nella forma della competizione che in quella della collaborazione, sono ulteriori motivazioni e fonti di gusto e soddisfazione. L’aspetto delle possibili applicazioni è di secondaria importanza (anche se può avere la sua rilevanza): per i matematici ha valore il lavoro in sé stesso. Prima di aver raggiunto la dimostrazione, la soluzione del problema, il valore è nel ricercarla; e prima ancora nel far emergere la domanda giusta da porre, quella che spianerà la strada verso la soluzione.

È in questo senso che altre volte ho parlato di valore spirituale della matematica, prima ancora del suo valore pratico applicativo: spirituale proprio nel senso del cuore che è a tema in questo Meeting. Anche nella matematica è il cuore che ci spinge a provare, a cercare, a porre problemi, a dimostrare teoremi nuovi.

 

E come convincere il pubblico, anche in tempi di difficoltà economiche, dell’importanza di finanziare anche ricerche di questo tipo?

Per un matematico la risposta è facile: per fortuna la matematica non ha le grandi esigenze economiche di altre discipline. E poi c’è la necessità di garantire la continuità attraverso l’insegnamento e questo è più facile giustificarlo. D’altra parte, in genere i matematici si accontentano di poco …

 

Un suo commento a caldo alle recenti designazioni dei vincitori dei premi all’ICM 2010 in corso in India? Conosce qualcuno di loro i loro lavori?

Non conosco i giovani vincitori delle medaglie Fields ma ho letto il lavoro del russo Stanislav Smirnov, ora docente all’università di Ginevra: riguarda la dimostrazione dell’invarianza conformale della percolazione e del modello di Ising nella fisica statistica. È un lavoro molto bello, molto profondo e lo ritengo senz’altro meritevole della Fields Medal.

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