Hanno iniziato con la micromedicina ed ora si passa sempre più frequentemente alla nanomedicina. È una delle frontiere dello scenario biomedico ed è protagonista oggi al Meeting con un incontro che tocca uno dei campi applicativi dove queste nuove tecnologie suscitano le maggiori attese, quello della lotta ai tumori. Ne parleranno, coordinati da Marco Bregni presidente dell’associazione Medicina e Persona, Marco Pierotti, Direttore Scientifico dell’Istituto Italiano dei Tumori di Milano e Mauro Ferrari, chairman del Dipartimento di Nanomedicina e Ingegneria Biomedica all’Università del Texas.
La presenza di Ferrari è un motivo di ulteriore interesse per il ruolo che rivestono le sue ricerche e le sue iniziative a livello internazionale. Arriva dall’Health Science Center di Houston (Texas) ma era partito da Padova dove si è laureato in matematica, disciplina che è una star qui al Meeting, con migliaia di non matematici che seguono con interesse, e qualche sorpresa, la mostra “Da uno a infinito”.
Ferrari, e con lui i nanomedici, porta alle estreme conseguenze un principio semplice, in base al quale “l’efficacia terapeutica richiede sempre, ad un certo grado, l’imitazione delle strutture biologiche coinvolte in quel determinato processo, strutture le cui dimensioni approssimano la scala dei nanometri”. Niente di meglio quindi delle nanotecnologie, in grande crescita e fonte di continui avanzamenti e innovazioni.
Per descrivere il percorso che sta portando verso traguardi insospettati, Pierotti parte addirittura da un parallelo tra la medicina e la cosmologia: «Un parallelo che ha origini antiche: già nella cultura greca si parlava dell’uomo come “micros cosmos” e nei secoli le grandi domande che muovono il cuore dell’uomo ruotano attorno a queste due scale estreme. Oggi c’è un ulteriore fattore che accomuna micro e macro e sono le nuove tecnologie. Nelle scienze della vita, i grandi progressi, come la decifrazione del DNA, sono frutto anche delle enormi potenzialità tecnologiche disponibili».
Nel caso dell’oncologia, Pierotti indica i punti dove la tecnologia ha dato i maggiori supporti: nell’architettura del sistema, decifrando il DNA, e soprattutto nell’acquisire la convinzione che «non è il numero dei geni che conta, quanto come questi geni funzionano, come interagiscono tra loro, come sono regolati. È grazie alla tecnologia che abbiamo una percezione di come anche il cosiddetto DNA spazzatura non sia così inutile: codifica infatti per una nuova classe di RNA, i microRNA, che possono regolare più geni e garantire quel concerto di geni regolati finemente che costituisce il fenotipo di ogni individuo e quindi anche la parte patologica».
E così siamo arrivati al livello micro. Per passare al “nano” bisogna fare un salto di scala dell’ordine del migliaio: si va verso le dimensioni del miliardesimo di metro. Ma prima Pierotti vuol sottolineare come la medicina oggi si muova secondo l’approccio, indicato dal biologo americano Leroy Hood, delle quattro “P”: una medicina che sia preventiva, predittiva, personalizzata e partecipativa. In tutte le prime tre P oggi possono giocare un ruolo fondamentale le nanotecnologie e l’attività di Ferrari negli States ne dà una documentazione impressionante, con un gran numero di progetti avviati, con numerosi brevetti ottenuti e con il lancio di diverse start-up che iniziano ad affacciarsi al mercato.
Da un’attività come la sua ci si possono aspettare risultati a più livelli. Progressi enormi sono attesi nella diagnostica: le nanoparticelle andranno a rivoluzionare tutta la diagnostica per immagini, consentendo di ottenere immagini più precise. «Soprattutto permetteranno di ottenere il riscontro delle nuove terapie personalizzate, quelle che identificano un meccanismo alterato nella cellula cancerosa e vanno a colpire proprio quella cellula e sole quella, in modo mirato e molto specifico e senza estendere la tossicità. Abbiamo bisogno di strumenti che vadano al di là dell’aspetto solo radiologico ma che ci dicano quanto il tumore è stato fermato nella sua crescita, quanto sta ancora crescendo; e questo le nanoparticelle lo possono fare egregiamente».
C’è un secondo ambito di applicazione diagnostica ed è quello che viene chiamato lab-on-chip, cioè la possibilità attivare su un supporto dalla superficie grande come un euro una serie di reazioni che avrebbero richiesto un laboratorio di biochimica: ad esempio processi di amplificazione di DNA e RNA, con la tecnica della PCR (Polymerase Chain Reaction): «Per ora si riescono a fare sei – dieci reazioni in contemporanea su un chip a partire da una goccia di sangue; ma i progressi in questo settore sono rapidissimi e stanno fornendo formidabili presidi diagnostici con costi così ridotti tali che si potranno fare screening anche su popolazioni ampie, cosa oggi impossibile per il proibitivo rapporto costi benefici».
C’è poi il punto di vista terapeutico. Anche qui i vari team avviati da Ferrari sono all’avanguardia e Pierotti parla dei prodigi delle nanoparticelle come vettori di farmaci. «Non solo consentono di avere degli indici terapeutici elevati perché il principio attivo viene direttamente condotto sul suo bersaglio in modo mirato e con concentrazione elevate . Quello che è straordinario è che si possono conferire alle nanoparticelle delle proprietà biologiche e, in una prospettiva molto suggestiva, farle agire come un missile a più stadi».
L’oncologo milanese si appassiona nel descrivere il “viaggio” della nanoparticella multistadio nel microcosmo della cellula da guarire: la particella attraversa la membrana cellulare e, per le proprietà chimiche del primo stadio, rilascia nel citoplasma un certo farmaco; poi continua sulla rotta programmata ed entra nel nucleo della cellula dove viene rilasciata la sostanza del secondo guscio con un altro effetto ad hoc.
Tutto questo risponde a un’esigenza emersa dalle ultimi scoperte in oncologia, che hanno individuato dei bersagli per le terapie intelligenti ma hanno anche capito che non basta colpire un solo bersaglio ma serve un fuoco di fila su più bersagli. L’ultimo campo di applicazioni, che va oltre la stessa oncologia, riguarda la medicina rigenerativa. «Mettendo da parte la polemica sull’impiego delle cellule staminali, dato che si è visto che con le embrionali non si va da nessuna parte, dobbiamo registrare grandi passi avanti nell’impiego di quelle adulte. Anche queste hanno bisogno di essere governate e differenziate secondo i nostri scopi: bene, le nanotecnologie stanno producendo una serie di nano materiali con i quali si possono costituire delle matrici di supporto per rieducare le cellule staminali adulte a differenziarsi in modo da produrre tessuti nuovi».
Una dei programmi sperimentali di Ferrari, su commessa dell’esercito statunitense, è indirizzato alla cura di quei soldati vittime delle esplosioni di mine e che possono vedersi applicate agli arti delle protesi che poi vengono riassorbite nel tempo, via via che le staminali ricostruiscono il tessuto danneggiato.