Ci sono scoperte nella storia delle scienze che segnano talmente il cammino di una disciplina al punto che non si può proseguire senza tenerne continuamente conto. Per le neuroscienze questo è il caso dei neuroni specchio, scoperti a metà anni Novanta dal gruppo di Giacomo Rizzolatti all’università di Parma.

Si tratta di una particolare classe di neuroni, cioè di cellule nervose, trovati nel cervello delle scimmie da Rizzolatti e colleghi: sono denominati “specchio” perché si attivano alla visione di particolari azioni motorie compiute da altri individui (della stessa specie o umani) reagendo allo stesso modo sia quando sono i soggetti a compiere l’azione, sia quando la vedono “riflessa” (specchio) negli altri.



Grazie a loro quindi, in qualche misura, il cervello simula il comportamento altrui, comprende dall’interno le intenzioni dell’altro, entra in sintonia, o meglio, in empatia, con lui. Il punto cruciale è, ovviamente, capire se tutto ciò accade anche negli esseri umani, con tutta una serie ben intuibile di conseguenze e implicazioni di tipo culturale, psicologico e filosofico.



Nell’uomo però non si possono fare indagini invasive, quindi l’esistenza di un “sistema specchio” può essere indotta sulla base di misure indirette, tipicamente con le neuroimmagini (brain imaging). Ciò è stato causa di polemiche, come accade per ogni innovazione che si rispetti, e c’è stata un’alternanza di conferme e smentite circa la presenza dei neuroni specchio nel nostro cervello. Va detto però che la stragrande maggioranza dei neurologi concorda con Rizzolatti e con quanti confermano la presenza.

Lo potranno sentire ribadito da lui stesso quanti parteciperanno oggi al Meeting all’incontro “Io e tu: un binomio inscindibile”, nel quale Rizzolatti dialogherà con Giancarlo Cesana, docente di igiene all’Università degli Studi di Milano Bicocca, introdotti da Giorgio Bordin, direttore sanitario dell’Ospedale Piccole Figlie di Parma. IlSussidiario.net l’ha incontrato prima del suo arrivo a Rimini.



Ripensando oggi alla scoperta dei neuroni specchio, quali sono stati i fattori che vi hanno permesso di raggiungere quel risultato?

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Credo siano due i fattori. L’approccio etologico e il concetto che ogni neurone ha una sua storia da raccontare. L’approccio etologico consiste nello studiare le scimmie mentre agiscono in un ambiente amico. Tipicamente invece il sistema motorio era ed è studiato usando animali condizionati che compiono dei “tasks” inventati dallo sperimentatore. La ricchezza del comportamento animale è persa.

L’altro fattore è stato quello di decifrare per ogni neurone a che stimoli effettivamente risponda e in che occasioni si attivi. Studiando così i neuroni si scopre che cosa dicono l’uno all’altro. Queste due modifiche alla maniera tradizionale di studiare il sistema motorio hanno permesso di scoprire proprietà inaspettate del sistema nervoso, inclusi i neuroni specchio e di capire meglio come funziona il nostro cervello.

 

Quali sono stati in questi anni i principali sviluppi della vostra scoperta?

 

La scoperta che i neuroni specchio non sono una peculiarità della corteccia motoria di scimmia, ma sono un esempio di un meccanismo generale presente in varie specie (oltre le scimmie e l’uomo, alcune specie di uccelli) e che il meccanismo specchio è alla base di molteplici funzioni: dal capire le azioni altrui, all’imitazione, fino alla condivisione delle emozioni. Ci sarebbero poi le applicazioni alla patologia; ma questo è un’altra storia.

 

L’esistenza dei neuroni specchio nell’uomo, cosa dice circa il modo con cui conosciamo?

 

I neuroni specchi indicano che accanto ad una maniera logica, induttiva di capire gli altri (alla Sherlock Holmes), ve n’è un’altra basata sul meccanismo specchio, che ci permette di capire le persone, rivivendo in noi le loro esperienze (conoscenza in prima persona).

 

C’è quindi una prevalenza, nei processi cognitivi, dell’azione, dell’esperienza rispetto ad altre componenti come la percezione, la riflessione, la deduzione logica, ecc.?

 

Penso che l’azione sia l’inizio di tutta la nostra conoscenza, inclusa la percezione. Nell’uomo si sono sviluppate con l’evoluzione capacità logiche che ci permettono di capire il mondo e i nostri conspecifici in maniera inferenziale, non solo empatica. Il meccanismo di base della vita sociale è però quello empatico.

 

Ci sono o ci potrebbero essere quindi ricadute sul modo di impostare i processi di apprendimento, dalla scuola all’addestramento sul lavoro?

 

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Penso che la lezione fondamentale dei neuroni specchio in questo campo è che per insegnare bisogna credere in ciò che si insegna e più in generale in ciò che si fa. Se uno crede, l’insegnamento è “contagioso”, l’allievo si appassiona e apprende. Altrimenti, tutto sparisce finita la lezione.

 

Più in generale, anche dal punto di vista neurobiologico si può dire che il riconoscimento dell’altro è importante o decisivo per l’espressione dell’io?

 

Qui la risposta è molto semplice. Sì, abbiamo bisogno degli altri per esprimere noi stessi. Senza gli altri siamo poca cosa e per di più infelici.

 

(a cura di Mario Gargantini)

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