L’uomo è in grado di determinare la biodiversità di un’isola? La risposta è sì. Ad affermarlo è uno studio del dottor Emilio Padoa-Schioppa dell’Università Bicocca di Milano. La ricerca, pubblicata dalla rivista Global Ecology and Biogeography e ripresa dal prestigioso mensile “Le Scienze”, ha mostrato che le attività umane risultano essere cruciali nel determinare la biodiversità delle isole.
«Sinora -spiega Padoa-Schioppa- si è sempre ipotizzato che il numero di specie animali presenti su un’isola dipendesse quasi esclusivamente da due fattori: le dimensioni dell’isola e la distanza dalla terraferma». Questa teoria fu elaborata negli anni Sessanta da due ecologi statunitensi, Robert MacArthur e Edward Wilson.
Un modello che negli anni è stato ampiamente supportato da studi tassonomici e che ha permesso di formulare la seguente teoria: in un’isola, il numero di specie presenti è direttamente proporzionale alla sua superficie e inversamente proporzionale alla distanza dal continente. Pur essendo stata menzionata come fattore capace di influenzare la biodiversità, la presenza dell’uomo però non è mai stata utilizzata nei modelli predittivi della biogeografia insulare.
«Il nostro studio – continua Padoa-Schioppa – ha analizzato la presenza di rettili nelle isole del bacino del Mediterraneo. Esse rappresentano infatti un’area unica per valutare quanto l’influenza umana interferisca con i processi che concorrono a determinare la diffusione delle specie». Per fare ciò è stata creata una banca dati contenente tutte le informazioni disponibili sui rettili che popolano le isole del Mediterraneo occidentale e della Macaronesia, ovvero gli arcipelaghidell’oceano Atlanticosettentrionale situati al largo delle costeafricane.
Oltre a stabilire se ogni specie presente fosse autoctona o introdotta, per ogni isola sono stati valutati parametri come la superficie, la distanza dalla terraferma, il numero di abitanti e la presenza di aeroporti. «Proprio quest’ultimo parametro – spiega Padoa-Schioppa- rappresenta un ottimo indicatore per valutare l’intensità dei flussi turistici ed economici delle isole».
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Tutti questi dati sono stati poi messi insieme e analizzati attraverso dei metodi statistici che si basano sulla teoria dell’informazione dei modelli ecologici. Essi permettono di valutare quale ipotesi scientifica venga meglio supportata dai dati scientifici disponibili in quel momento. Nello studio italiano le ipotesi da valutare erano tre: il modello geografico, ovvero quello che spiega la correlazione tra numero di specie in funzione di superficie e distanza dalla terraferma; il modello antropico, che vede la presenza dell’uomo come fattore chiave nell’influenza dell’ecosistema; il modello congiunto, ovvero una sovrapposizione dei due modelli precedenti.
«In particolare le analisi che abbiamo effettuato -continua Padoa-Schioppa – ci hanno permesso di affermare che il rapporto tra numero di specie e superficie dell’isola non è lineare come previsto dalla teoria». Diversamente, il numero di specie aumenta all’aumentare della superficie ma si arresta quando l’isola ha dimensioni maggiori di 1,5 chilometri quadrati.
Questo è il valore limite in cui la presenza dell’uomo comincia a essere un fattore chiave. In pratica l’antropizzazione del territorio modifica la relazione che intercorre tra superficie e specie presenti nelle isole. Inoltre lo studio ha evidenziato che isole fortemente antropizzate presentano meno specie autoctone e più specie invasive di quanto ci si aspetti considerando i soli fattori geografici.
«I risultati da noi ottenuti – conclude Padoa-Schioppa – mostrano l’enorme influenza che l’antropizzazione può avere nella distribuzione delle specie in un’isola. Questo dato deve essere il punto di partenza per lo sviluppo di modelli che tengano conto dell’azione dell’uomo, fattore che in passato non è mai stato realmente quantificato». Dunque la pressione antropica sembra diventare sempre più un fattore in competizione con le caratteristiche naturali e geografiche nel determinare la biodiversità di un’area.
(a cura di Daniele Banfi)