L’acqua conserva le informazioni biologiche e, sotto opportune condizioni, può trasmetterle, con enormi implicazioni a livello diagnostico e forse terapeutico. È un tema difficile e delicato, che fa subito pensare alla tanto discussa “memoria dell’acqua”, diventata negli anni ‘80 uno scandalo scientifico e rimasta in seguito come un tabù impronunciabile. Ma se a sostenere la tesi è un premio Nobel del calibro di Luc Montagnier, merita almeno di essere accostato con attenzione.
Il biologo francese non sembra di quelli che sai lasciano andare a conclusioni avventate: «Mi interessa essere razionale – ci ha detto – e sono convinto che serva una base razionale alla medicina. La mia non è una presa di posizione a priori ma si basa su dati e riscontri sperimentali. Pensi che nel nostro laboratorio, pur essendo un piccolo gruppo, abbiamo nuovi risultati quasi ogni settimana».
Un assaggio di questi dati l’ha fornito nei giorni scorsi durante la Conferenza Regionale su Ricerca e Innovazione a Cagliari. Lì l’abbiamo incontrato e abbiamo raccolto il suo appello per una nuova medicina, che punti sulla ricerca di base, che sappia unire le competenze di biologia e di fisica e che sia orientata decisamente alla prevenzione.
Quello della collaborazione tra biologi e fisici è un suo cavallo di battaglia ed è la via che sta percorrendo da almeno cinque anni (non aveva ancora vinto il Nobel, conquistato nel 2008 per l’individuazione del virus dell’HIV), quando ha iniziato le ricerche sulle proprietà fisiche del DNA. «Mi sono trovato a interessarmi, per ragioni diverse, agli stessi argomenti di Jacques Benveniste, che avevo conosciuto quando aveva proposto la tesi della memoria dell’acqua. Lui era un immunologo io un virologo ma i nostri studi hanno un punto di convergenza proprio nel comportamento singolare dell’acqua».
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Montagnier è arrivato a quel punto dopo aver osservato la ricomparsa di micoplasmi in una sospensione sottoposta ad altissima filtrazione precedentemente posta a contatto per due o tre settimane con linfociti T umani. La sua interpretazione è che nel filtrato esistano delle nanostrutture contenenti frammenti dell’informazione genetica che viene poi ricostruita. Responsabile di questo fenomeno è la generazione di onde elettromagnetiche a bassa frequenza da parte di sequenze del DNA di specie batteriche e di virus in diluizioni acquose appropriate.
Gli esperimenti del team di Montagnier sono documentati nell’articolo “Electromagnetic Signals Are Produced by Aqueous Nanostructures Derived from Bacterial DNA Sequences”, pubblicato nel 2009 sulla rivista Interdisciplinary Science; viene descritto un apparato sperimentale piuttosto semplice per la cattura dei segnali elettromagnetici: una bobina con all’interno una provetta con la soluzione da analizzare, un amplificatore e un PC.
L’emissione di onde viene interpretata come un fenomeno di risonanza, innescato dal fondo elettromagnetico presente nell’ambiente che agisce sulla struttura orientata e coerente delle molecole d’acqua. «Alcuni fisici teorici hanno studiato il fenomeno e hanno proposto dei modelli: molto interessanti sono ad esempio quelli proposti dall’italiano Emilio del Giudice, avviati a suo tempo con il compianto Giuliano Preparata. Ma sono in contatto anche con altri gruppi, specialmente in Usa».
Certo, c’è ancora molto da studiare: ad esempio bisogna capire come si mantiene stabile la coerenza delle molecole di acqua. Ma la situazione è ben diversa da quella che si è verificata con Benveniste: «Lui è stato accusato, a mio avviso ingiustamente, di aver falsificato e manipolato gli esperimenti. Io ho ripetuto quegli esperimenti: una possibilità che lui non aveva. Il mio vantaggio è proprio quello di avere a disposizione strumenti e tecniche che consentono di riprodurre più volte tutti i test; e, si sa, la riproducibilità è una condizione fondamentale per sostenere la scientificità di una teoria».
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Montagnier è convinto di aver aperto una strada interessante e si sta impegnando per «convincere i colleghi». Anche perché le potenzialità sono notevoli: «Potremmo scoprire il ruolo ancor più fondamentale dell’acqua nei viventi. Ci potrebbero essere nell’acqua i segnali di agenti patogeni, questo non solo per patologie infettive ma anche per altre dove non si conosce agente: pensi ad esempio alla sclerosi multipla. E naturalmente alla cura dell’AIDS».
Ma sono soprattutto le potenziali applicazioni diagnostiche che attirano gli sforzi del premio Nobel. Che nota una certa chiusura di molta medicina attuale nei confronti delle tecniche di prevenzione, ad esempio nel caso delle malattie neurodegenerative e nel problema dell’invecchiamento in genere. La possibilità di individuare in anticipo, tramite opportuni test clinici, la presenza di certi agenti patogeni diventa in molti casi una grande opportunità.
Montagnier è consapevole di aver imboccato una strada difficile: «sono argomenti che eccitano gli animi e hanno implicazioni spesso indesiderate»; ma è anche abituato alle controversie. La più accesa è stata quella combattuta con Robert Gallo per la priorità della scoperta del virus dell’HIV, scoppiata nel 1984 e riattizzata due anni fa quando al francese è stato conferito il Nobel e all’americano no.
Ma ormai anche questa vicenda sembra superata e in questi giorni molti giornali hanno riportato le immagini della cordiale stretta di mano tra i due scienziati a Venezia durante il convegno della Fondazione Veronesi. Anche a Cagliari Montagnier ha terminato la sua conferenza mostrando una foto che lo ritrae insieme all’antico rivale.
(a cura di Mario Gargantini)