L’acqua è un composto essenziale per l’intero sistema solare e in particolare per il nostro pianeta. Ad essa infatti è legata la nascita, lo sviluppo e la permanenza della vita sulla Terra. La sua presenza in natura in diversi stati (fase solida, liquida e gassosa) e in diverse percentuali riveste un ruolo chiave sia negli ecosistemi che nella dinamica che regola i processi geologici.



Sul nostro pianeta abbiamo grandi distese di acqua allo stato liquido, basti pensare agli oceani la cui estensione costituisce circa i due terzi della superficie terrestre. Ma l’acqua è anche presente in forma di molecola di idrogeno che si unisce all’ossigeno in minerali solidi (i silicati) come l’olivina. Si tratta del minerale più abbondante nel mantello superiore, lo strato concentrico in cui è suddiviso il nostro Pianeta, compreso tra la crosta e il nucleo. Il mantello ha uno spessore di circa 3000 km ed è caratterizzato da temperature e pressioni altissime. In queste condizioni estreme, in particolare di alta pressione, l’olivina si presenta in una fase più densa che comunque contiene acqua nella  sua struttura cristallina.



Ecco perché il mantello ha un contenuto in acqua molto alto, di circa 2-3 volte superiore all’intera copertura degli oceani, come afferma il professor Enrico Bonatti, uno dei più accreditati scienziati che indagano l’evoluzione geologica dei bacini oceanici. Proprio studiando il contenuto in acqua nelle olivine provenienti dai cratoni (le parti più antiche dei continenti) dell’Africa sono arrivate le risposte a uno dei più importanti quesiti geologici relativi alla teoria della tettonica a placche: si trattava di spiegare perché i cratoni non hanno subito modificazioni nel corso delle ere geologiche e risultano essere stabili nel tempo.



I geologi e geofisici hanno messo ampiamente in evidenza che la litosfera è mosaico di tessere (le placche) soggette a continui movimenti (teoria della tettonica a placche). In alcune aree geografiche la crosta terrestre sprofonda nello strato sottostante (aree di subduzione) e viene riciclata, in altre nuova crosta oceanica si forma determinando la nascita di un nuovo oceano. I cratoni però, aree costituite da rocce primordiali e  molto dense, non risultano interessati da questa dinamica guidata dai movimenti convettivi del mantello.

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Ora il recente articolo pubblicato su Nature intitolato “Olivine water contents in the continental lithosphere and the longevity of cratons”, di Anne H. Peslier e colleghi, fornisce una convincente spiegazione della dinamica geologica in queste aree. La risposta risiede nel contenuto in acqua presente nelle olivine o meglio nella differenza di viscosità tra le rocce che costituiscono i cratoni e quelle delle aree circostanti. I risultati delle analisi geochimiche sulle olivine dei cratoni provenienti da inclusi kimberlitici (intrusioni costituite da materiali che compongono il mantello che risalgono violentemente in superficie, note come le rocce madri dei diamanti) del Sud Africa, hanno documentato un contenuto in acqua più basso rispetto alle corrispondenti in superficie. 

Poiché il contenuto in acqua del mantello è quello che regola la viscosità (resistenza di una sostanza ad essere deformata), queste rocce sono poco mobili perché altamente viscose. In questo modo, i cratoni che le contengono risulterebbero come ancorati e pertanto bloccati nel loro movimento di deriva. L’indagine è frutto di una collaborazione tra lo Jacobs Techology di Houston, l’Astromaterials Research and Exploration Science (Nasa), l’Institute of Geoscience di Frankfurt e la School of Earth & Space Exploration in Arizona e  fornisce una serie di dati molto accurati ottenuti grazie all’applicazione di tecniche sofisticate.

Quantificare le variazioni del contenuto in acqua nelle diverse parti della Terra è molto importante: la maggior parte delle evidenze attualmente a disposizione converge sul fatto che il quantitativo di acqua che viene trasferita nel mantello, ad esempio durante i processi di subduzione, è maggiore di quello che sale in superficie. Se questo è vero, tra miliardi di anni non ci saranno più riserve di acqua sulla Terra.

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Questi studi permettono di ampliare le conoscenze sulle complesse leggi che regolano i processi fisico-chimici del nostro pianeta, in particolare di quella “parte oscura” che è possibile indagare quasi esclusivamente in maniera indiretta tramite la geofisica, i flussi di calore e la tomografia sismica. Non è semplice infatti ottenere campioni di questi livelli profondi e quindi poterli studiare direttamente; infatti i geologi affermano che paradossalmente  si hanno più conoscenze relative agli astri che ci circondano rispetto a quelle sulla struttura interna del nostro Pianeta. Sembrano temi  apparentemente lontani dal nostro quotidiano, eppure si tratta di informazioni molto importanti che influenzano a grande scala le relazioni tra atmosfera-idrosfera e astenosfera, come evidenziato ad esempio dallo studio sui cambiamenti climatici. È noto infatti come le immissioni di CO2 e di metano dal mantello in atmosfera abbiano modulato sensibilmente, in alcuni intervalli di tempo, la storia climatica della terra.